DOPO TANTI ANNI DI MATRIMONIO IL MARITO MANIFESTA LA SUA OMOSESSUALITÀ: IL MATRIMONIO È NULLO?

La Corte di Cassazione  civile, Sez. VI – 1, con Ordinanza del 15-05-2018, n. 11808 nega la declatoria di efficacia nella Repubblica italiana della sentenza ecclesiastica che aveva dichiarato la nullità del matrimonio durato quattordici anni prima che il marito manifestasse la sua omosessualità.

I fatti di causa

Due coniugi avevano convissuto per quattordici anni, i primi sei o sette dei quali si erano “estrinsecati in una condotta oggettiva coerente con la unione coniugale“, tanto che dalla loro Unione nasceva una figlia, successivamente però venne alla luce la disinclinazione eterosessuale del marito.

Su ricorso della moglie, visto l’incapacità del marito di assumere gli oneri e gli obblighi del matrimonio, a norma del can. 1095 nn. 2 e 3 del C.J.C., il Tribunale Ecclesiastico Regionale pronunciava  sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio e successivamente la stessa veniva confermata dal Tribunale della Rota Romana.

La signora si vedeva però rigettata la domanda volta ad ottenere la declaratoria di efficacia nella Repubblica italiana della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio.

Si giungeva quindi innanzi alla Corte di Cassazione dove la signora ,

“denunciando la violazione dell’art. 8 n. 2 dell’Accordo 18 febbraio 1984 di Revisione del Concordato fra la Santa Sede e lo Stato italiano, richiamato dall’art. 82 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”

lamentava che la Corte d’appello avesse disatteso le enunciazioni di diritto espresse dalle Sezioni Unite della Corte nella decisione del 17 luglio 2014, n. 16379, circa la valenza ostativa, al procedimento di delibazione, della “convivenza triennale” successiva all’atto di celebrazione del matrimonio.

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La pronuncia della Corte

Con le pronunce n. 1343 del 20/01/2011 e  n. 9844 del 15/06/2012 la Corte di Cassazione ha affermato che

“costituisce ragione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, la convivenza prolungata dai coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio stesso, in quanto espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito, con cui è incompatibile, quindi, l’esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge”.

Successivamente nel 2014 le Sezioni Unite venivano chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale creatosi sul punto,  in quanto altre decisioni si erano pronunciate nel senso che la convivenza dei coniugi successiva alla celebrazione del matrimonio non è ostativa, sotto il profilo dell’ordine pubblico interno, alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico (cfr. Cass., 08/02/2012, n. 1780; Cass., 04/06/2012, n. 8926) e facevano proprio l’orientamento espresso dalla Prima sezione civile nel 2011.

Si è statuito  che ove  la convivenza “come coniugi” si sia protratta per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, si crea una situazione preclusiva alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del “matrimonio-atto”.

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Questo orientamento poi veniva confermato anche dalla successiva giurisprudenza (Cass., 27/01/2015, n. 1494; Cass., 19/12/2016, n. 26188).

La Corte d’Appello quindi decideva la questione di diritto – ossia l’efficacia ostativa alla delibazione della convivenza duratura – in modo del tutto conforme all’indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. U., 21/03/2017, n. 7155),  motivo per il quale il ricorso veniva dichiarato inammissibile.

Avv. Tania Busetto


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