DIFFAMAZIONE: QUANDO IL DESTINATARIO DELL’OFFESA NON È IDENTIFICABILE


VUOI RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Informativa sulla Privacy

Non vi è diffamazione se il destinatario delle frasi offensive non è identificabile: infatti l’individuazione del soggetto passivo del reato in questione, in mancanza di indicazione specifica e nominativa ovvero di riferimenti inequivoci a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto, deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell’offesa, quale si desume anche dal contesto in cui è inserita, con la conseguenza che ove non sia possibile tale deduzione il reato di diffamazione non può ritenersi integrato

Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 49435 del 2019

La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la sentenza n. 49435 del 2019 è intervenuta per chiarire che nel caso in cui il destinatario delle offese non sia identificabile non vi è diffamazione.

Nel caso di specie sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano assolto gli imputati dal reato di cui all’art. 595 c.p. per la particolare tenuità del fatto; infatti questi erano stati accusati di aver offeso la reputazione del convenuto, affiggendo diversi scritti  dal contenuto ingiurioso alla finestra della propria abitazione situata di fronte a quella della persona offesa.

Già in appello erano state sollevate diverse questioni in ordine all’individuazione dell’effettivo destinatario delle offese e, in ogni caso l’unica espressione meritevole di rilievo “chi nasce colono non muore padrone” non permetteva l’identificazione del soggetto al quale era rivolta.

Gli Ermellini, nell’accogliere il ricorso, come prima cosa hanno precisato che

“a fronte dell’intervenuta abrogazione del reato di ingiuria non si sarebbe dovuto ravvisare l’assorbimento del fatto ingiurioso nel reato di diffamazione ma piuttosto dichiarare non doversi procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”.

L’espressione “chi nasce colono non muore padrone”, al di là delle implicazioni soggettive di colui che ebbe a recepire come offensiva tale affermazione, deve ritenersi che non abbia un’effettiva portata lesiva dell’altrui reputazione, non potendosi attribuire valenza negativa o dispregiativa al termine colono che

“si limita ad esprimere piuttosto il concetto del lavoro che rappresenta, né di contro valenza positiva al termine padrone che anzi sotto certi aspetti rimanda a fenomenologie non del tutto ortodosse, evocando piuttosto pratiche non sempre legittime derivanti dall’essere e sentirsi padrone”.

In ogni caso il concetto espresso dalla frase in questione non reca necessariamente un’intrinseca valenza negativa di offesa, nemmeno da un punto di vista oggettivo, calato sulla situazione concreta. Infatti nello specifico lo striscione era stato appeso alla finestra in seguito alla richiesta della persona offesa di rilasciare l’immobile.

In ogni caso anche se la frase ha provocato una qualche reazione emotiva in cui l’ha ritenuta indirizzata alla propria persona, essa rispetto ai terzi è priva di ogni valenza specifica e di un chiaro collegamento con la persona a cui era indirizzata.

Da ultimo si deve sottolineare che

“affinché la condotta divulgativa integri il reato di diffamazione rimane pur sempre necessario che quanto divulgato abbia carattere diffamatorio e possa essere come tale percepito, e possa altresì essere attribuito a un soggetto determinato, da parte di chiunque entri in contatto con esso, e non solo dal destinatario”.

In ogni caso l’offesa deve essere perpetrata nei confronti di un soggetto quanto meno individuabile da parte del terzo, cosa che nel caso di specie non era possibile, essendosi ingenerata confusione circa l’identificazione della persona offesa.

A tal proposito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2135 del 1999 ha chiarito che

“l’individuazione del soggetto passivo del reato di diffamazione, in mancanza di indicazione specifica e nominativa ovvero di riferimenti inequivoci a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto, deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell’offesa, quale si desume anche dal contesto in cui è inserita, con la conseguenza che ove non sia possibile tale deduzione il reato di diffamazione non può ritenersi integrato”.

Dott.ssa Benedetta Cacace

VUOI RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER