DETENZIONE IN STATO DI DEGRADO

La Corte di Cassazione Civile, sez. III, con l’ordinanza n. 22764 del 18 settembre 2017 ha rimesso alle Sezioni Unite la questione della natura dell’indennizzo

La Corte di Cassazione Civile, con l’ordinanza n. 22764/2017 ha rimesso alle Sezioni Unite la questione inerente alla qualificazione del diritto al risarcimento dei danni da detenzione in condizioni inumante, introdotto dal d.l. 92/2014, ed azionabile per tutti coloro che avessero già espiato la pena o non si trovassero più in stato di custodia alla data di entrata in vigore della legge, entro sei mesi dalla medesima data.

Il Ministero della Giustizia aveva presentato un ricorso contro una pronuncia del Tribunale dell’Aquila che lo aveva condannato al pagamento di 25.512,00 euro, a seguito del danno patito dal ricorrente nei 3.189 giorni di detenzione inumana in diverse carceri italiane.

Il Tribunale aveva respinto l’eccezione di prescrizione del diritto sollevata dall’Amministrazione convenuta:

  • Sostenendo che la decorrenza della prescrizione non può ritenersi operante in riferimento a un diritto non riconosciuto prima dell’introduzione dell’articolo 35 ter dell’ordinamento penitenziario;
  • Ritenendo incompatibile la decadenza prevista dalla norma di diritto transitorio e la prescrizione prevista dalle norme ordinarie, con prevalenza della prima;
  • Sottolineando che nei giudizi inerenti la richiesta di indennizzo ex art. 35 ter o.p., la condizione inumana può essere solamente dedotta, mentre spetta all’Amministrazione convenuta smentire l’assunto.

L’Avvocatura generale dello Stato, in difesa del Ministero di giustizia, ha proposto un ricorso straordinario in Cassazione per violazione degli articoli 2935 e 2947 del codice civile.

La difesa dello Stato, qualificando l’azione in questione alla stregua dell’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c, ha assunto che il termine prescrizionale di 5 anni, inizia a decorrere dalla data del fatto illecito, e deve valere per tutti coloro che alla data di entrata in vigore del decreto legge non abbiano ancora intrapreso l’azione risarcitoria e il cui stato di detenzione sia cessato.

La Corte ha evidenziato l’esistenza di un’analogia tra la previsione dell’articolo 35 ter, terzo comma e la previsione dell’art. 4 della l. 24 marzo 2001, n. 89 ed ha ricordato come, rispetto a tale disposizione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione abbiano escluso la decorrenza dell’ordinario termine di prescrizione in ragione del carattere speciale della previsione normativa e dell’incompatibilità tra prescrizione e decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere.

Il problema che si è posto ai Giudici del legittimità, una volta registrata tale analogia è se il principio di diritto espresso dalla sent. n. 16783/12 sia applicabile anche alla fattispecie in esame, come ritenuto dal Tribunale de l’Aquila.

Se si dovesse applicare il principio sancito dalle S.U. n. 16783/12, e cioè che il termine di decadenza per l’esercizio di un diritto è incompatibile con la decorrenza della prescrizione, in quanto tale principio presuppone che decadenza e prescrizione si riferiscano al medesimo atto e poiché è l’articolo 35 ter. Della l. n. 354 del 1975, come richiamato dall’art. 2, ad avere introdotto, per la prima volta, non solamente l’azione, ma anche il diritto, l’unica azione possibile, per rivendicare l’indennità sarebbe quella di nuova introduzione.

“Non potendo essere individuato nel ricorso alla Corte EDU l’atto idoneo ad interrompere la prescrizione di diritto interno e non esistendo prima della novella del 2014 un diritto da porre a base di una azione in ambito interno, si dovrebbe concludere che, in fase transitoria, il legislatore ha riconosciuto un diritto nuovo con effetti retroattivi, effettuando la scelta discrezionale di porre il solo limite della decadenza ed escludendo la prescrizione”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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