CARTELLA ILLEGITTIMA E DEPRESSIONE

Depressione a causa di una cartella esattoriale illegittima

L’ansia causata da una cartella di pagamento annullata viene risarcita solamente con la condanna alle spese processuali della parte soccombente ed eventualmente con la condanna alla lite temeraria laddove l’agente della riscossione abbia resistito alla pretesa del contribuente con dolo o colpa grave

I fatti di causa

Un contribuente conveniva in giudizio  l’AGENZIA DELLE ENTRATE, per sentirla condannare al risarcimento dei danni morali e da stress, subiti a seguito delle lungaggini dell’iter burocratico affrontato per ottenere lo sgravio di somme non dovute.

Egli aveva proposto istanza per l’annullamento di una cartella esattoriale, e ne otteneva l’accoglimento solo a sei mesi più tardi e solo a seguito di numerose richieste e vari solleciti, visite allo sportello e ingiustificati rinvii e dinieghi.

In primo grado  l’AGENZIA DELLE ENTRATE veniva dichiara responsabile del danno non patrimoniale provocato all’attore. e, per l’effetto, la condannava al risarcimento dei danni, liquidati in via equitativa nella somma di Euro 300,00, nonchè al pagamento delle spese processuali.

La vicenda giunge in Cassazione.

In particolare l’AGENZIA DELLE ENTRATE  censura il merito della decisione impugnata, per avere ritenuto violato il divieto del neminem laedere, in considerazione della lunghezza dell’iter burocratico, durato sei mesi, con conseguente turbamento del “diritto alla tranquillità” del contribuente, facendogli spendere tempo ed energie, tra visite “a vuoto” agli sportelli, richieste e reiterati solleciti, per dimostrare che la somma richiestagli non era dovuta.

In particolare la ricorrente

“denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – lamenta violazione di principio informatore del diritto per difetto del carattere dell'”ingiustizia” del danno, segnatamente evidenziando che l’annullamento in autotutela della P.A. non si configura come un obbligo dell’amministrazione e contestando, nel contempo, la violazione, dei criteri di ordinaria diligenza, avuto riguardo al limitato arco di tempo in cui intervenne il ritiro dell’atto impositivo”.

V. anche

La decisione della Corte

Gli Ermellini ritengono il motivo fondato e accolgono il ricorso proposto dall’AGENZIA DELLE ENTRATE sulla base dei seguenti motivi

“Come è noto le SS.UU., con quattro contestuali sentenze di contenuto identico (nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 in data 11-11-2008), hanno di recente proceduto ad una rilettura in chiave costituzionale del disposto dell’art. 2059 c.c., ritenuto principio informatore del diritto, come tale vincolante anche nel giudizio di equità, da leggersi – non già come disciplina di un’autonoma fattispecie di illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella di cui all’art. 2043 c.c. – bensì come norma che regola i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali (intesa come categoria omnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile individuare, se non con funzione meramente descrittiva, ulteriori sottocategorie), sul presupposto dell’esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito richiesti dall’art. 2043 c.c., e cioè: la condotta illecita, l’ingiusta lesione di interessi tutelati dall’ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso.

In tale prospettiva la peculiarità del danno non patrimoniale viene individuata nella sua tipicità, avuto riguardo alla natura dell’art. 2059 cit., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge (e, quindi, ai fatti costituenti reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di danno) ovvero ai diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria, con la precisazione, in quest’ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l’interesse leso e non il pregiudizio consequenzialmente sofferto e che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave (e, cioè, superi la soglia minima di tollerabilità, imposto dai doveri di solidarietà sociale) e che il danno non sia futile (vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura meramente immaginario).

Ciò precisato, si osserva che, nella specie, non sussiste un’ingiustizia costituzionalmente qualificata, tantomeno si verte in un’ipotesi di danno patrimoniale prevista dal legislatore ordinario, risultando, piuttosto, la ritenuta lesione del “diritto alla tranquillità” insuscettibile di essere monetizzata, siccome inquadrabile in quegli sconvolgimenti quotidianità “consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro di insoddisfazione” (cd. bagatellari) ritenuti non meritevoli di tutela risarcitoria.”

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In pratica la Cassazione ritiene che questo “stress” consiste in una lesione che non può essere monetizzata, ciò può avvenire solo quando si tratta di abituali sconvolgimenti della quotidianità.

In casi come questoci sono già degli strumenti processuali che permettono di ottenere un ristoro e sono:

  • La condanna alle spese processuali della parte soccombente;
  • L’ulteriore condanna alla lite temeraria laddove l’agente della riscossione abbia resistito alla pretesa del contribuente con dolo o colpa grave.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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