APPROPRIARSI DEI BENI GETTATI SUI RIFIUTI, LEGITTIMA IL LICENZIAMENTO?

È legittimo il licenziamento di un dipendente che si appropria di un monopattino trovato all’interno del centro di raccolta rifiuti?

Corte d’Appello di Torino, sezione lavoro, sentenza n. 15 del 2019

È legittimo il licenziamento di un dipendente che si appropria di un monopattino trovato all’interno del centro di raccolta rifiuti?

Nel caso di specie, una lavoratrice era stata licenziata per giusta causa per essersi appropriata di un monopattino rinvenuto nella spazzatura del luogo di lavoro, in quanto su di esso vi era apposto un biglietto del responsabile del centro che avvertiva dell’illegittimità dell’apprensione di beni trovati tra i rifiuti.

Secondo la ricorrente, il fatto che il bene da lei sottratto fosse vicino alla bacheca aziendale e che vi fosse apposto il biglietto scritto dal responsabile, non faceva affatto intendere che si trattasse di un bene aziendale, in quanto secondo l’art. 7 del codice etico, i rifiuti non appartengono alla categoria dei beni aziendali.

Il datore di lavoro precisa che l’art. 25 del regolamento aziendale stabilisce in modo piuttosto chiaro che è vietato asportare qualsiasi oggetto dalla sede di lavoro ed inoltre, l’art. 68 del ccnlinclude il furto tra le condotte sanzionabili con il licenziamento senza preavviso.

La Corte d’Appello, intervenuta sul punto ha preliminarmente chiarito la differenza tra “bene” e “rifiuto”; con il primo si intende un oggetto che abbia anche un minimo valore o comunque una sua utilità, il secondo invece è un materiale scarto, inutilizzabile.

Tale distinzione semantica ci permette di trovare una prima discrasia tra il fatto contestato alla ricorrente ed il fatto materiale da questa posto in essere; infatti, nella lettera di contestazione l’addebito mossole è definito come

“appropriazione indebita di un bene non di sua proprietà della sede aziendale”,

mentre la condotta realmente da questa posta in essere si era concretizzata nell’apprensione di un rifiuto.

In base alla lettura del contratto aziendale, anche se non particolarmente chiaro, vi è una differenza espressiva tra l’oggetto ed il materiale di scarto, e si vieta espressamente l’asportazione del primo, consentendo l’asportazione del secondo solo previa autorizzazione.

Successivamente il regolamento aziendale era mutato ed aveva sempre mantenuto la distinzione tra oggetti e materiali ma non senza prevedere la possibilità per il lavoratore di prelevare materiale di scarto dietro autorizzazione del superiore.

La Corte d’Appello aveva ritenuto che non fosse stato provato dalla società che il prefetto mutamento del regolamento aziendale sia stato portato efficacemente a conoscenza dei lavoratori.

Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di primo grado non può ritenersi decisivo il biglietto scritto dal responsabile aziendale, non essendo univoco il messaggio.

L’assenza di consapevolezza dell’esistenza del divieto di asportare i rifiuti è imputabile all’azienda che non ha curato in modo adeguato la pubblicità del divieto stesso.

La ricorrente per tale motivo quindi, poteva in buona fede ignorare che la sua condotta fosse ritenuta illecita tenuto conto che il regolamento aziendale vieta l’asportazione di qualsiasi oggetto mentre nel caso di specie era stato asportato un rifiuto.

Sulla base di quanto appena esposto, i giudici di secondo grado hanno ritenuto che non sussiste giusta causa di licenziamento l’asportazione di un rifiuto rinvenuto nella spazzatura dato che tali oggetti sono privi di alcun valore economico e non possono per tale motivo essere equiparati ai beni aziendali per i quali il regolamento aziendale in caso di furto prevede il licenziamento in tronco.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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