APOSTROFARE UN SOGGETTO DANDOGLI DELL’ “ANIMALE” INTEGRA REATO?


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Integra il reato di cui all’art. 595 c.p. apostrofare un soggetto dandogli dell’ “animale”?

Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 34145 del 2019

L’articolo 595 c.p. che disciplina il reato di diffamazione dispone che:

“Chiunque, fuori dai casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro.

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.

Nel caso di specie, il Giudice di Pace aveva assolto, per insussistenza del fatto un uomo dal reato di cui all’art. 595 c.p., per aver offeso la reputazione di un minore, scrivendo sulla chat Whatsapp del gruppo del condominio

“volevo solo far notare al proprietario dell’animale ciò che è stato procurato al volto di mia figlia. Domani al rientro del turno lavorativo prenderò le dovute precauzioni”.

Avverso tale decisione aveva proposto ricorso il Procuratore della Repubblica, lamentando che il fatto rientrerebbe nel paradigma disciplinato dall’art. 595 c.p., in considerazione dell’indubbia portata offensiva del termine “animale”.

Il ricorso merita accoglimento in quanto il fatto si concretizza nel sostantivo “animale” utilizzato dall’imputato al fine di indicare in maniera dispregiativa il bambino che aveva causato una lesione al volto di sua figlia.

Il giudice di merito aveva escluso che tale affermazione, seppure inappropriata ed eccessiva, avesse una “valenza di offesa dell’altrui reputazione”.

Tale affermazione non merita di essere condivisa, in quanto la frase in discussione presenta un immediato contenuto offensivo espresso dalla parola “animale” riferita al minore.

Anche se recente giurisprudenza si è mostrata aperte verso l’utilizzo di un linguaggio più diretto e “disinvolto”, è altrettanto vero che talune espressioni presentano ex se carattere insultante.

Infatti

“sono obiettivamente ingiuriose quelle espressioni con le quali si disumanizza la vittima, assimilandola a cose o animali. Paragonare un bambino a un animale, inteso addirittura come oggetto visto che il padre ne viene definito proprietario, è certamente locuzione che, per quanto possa essersi degradato il codice comunicativa e scaduto il livello espressivo soprattutto sul social media, conserva intatta la sua valenza offensiva.”.

Dott.ssa Benedetta Cacace

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