ANCHE SE GRATUITA LA MATERNITÀ SURROGATA È COMUNQUE VIETATA

La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 02173 del 2019 ha chiarito che la maternità surrogata anche se effettuata senza la previsione di alcun corrispettivo per la madre surrogata è comunque vietata nel nostro ordinamento.

Nel caso di specie, sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano condannato gli imputati per aver partecipato all’accorso con il medico ginecologo, stipulato dietro corrispettivo di una somma di denaro, con il quale veniva loro promesso l’affidamento di un nascituro che sarebbe stato successivamente partorito da altra donna; con l’ulteriore intesa di alterare lo stato di nascita del neonato in modo che risultasse figlio naturale della coppia.

Il giorno della nascita il minore era stato affidato alla coppia, la quale aveva contestualmente versato la somma pattuita al ginecologo che, tuttavia non era riuscito ad alterare lo stato di nascita per un imprevisto occorso al momento della trasmissione dell’atto da parte della direzione amministrativa della clinica all’Ufficio di Stato Civile del Comune.

La madre surrogata era stata riconosciuta sia in primo che in secondo grado responsabile per il delitto ex art. 71 della legge sulle adozioni n. 184/1983 per essersi prestata consapevolmente alla consegna del proprio figlio alla coppia, oltre che del delitto di simulazione di reato, per aver denunciato alcuni mesi dopo il parto, l’avvenuta illecita operazione di consegna del proprio figlio, ma falsamente attribuendo la propria gravidanza ad una violenza sessuale, una volta appreso che nel suo stato famiglia era stato inserito anche il minore.

L’articolo 71 della legge sopra citata dispone che:

“Chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere di definitiva un minore, ovvero lo avvia all’estero perché sia definitivamente affidato, è punito con la reclusione da una a tre anni.

Se il fatto è commesso dal tutore ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di educazione, di istruzione, di vigilanza e di custodia, la pena è aumentata della metà.

Se il fatto è commesso dal genitore la condanna comporta la perdita della relativa potestà e l’apertura della procedura di adottabilità; se è commesso del tutore consegue la rimozione dall’ufficio; se è commesso dalla persona cui il minore è affidato consegue la inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l’incapacità all’ufficio tutelare.

Se il fatto è commesso da pubblici ufficiali, da incaricati di un pubblico servizio, da esercenti la professione sanitaria o forense, da appartenenti ad istituti di assistenza pubblici o privati nei casi di cui all’articolo 61, numeri 9 e 11, del codice penale, la pena è raddoppiata.

La pena stabilita nel primo comma del presente articolo si applica anche a coloro che, consegnando o promettendo denaro od altra utilità a terzi, accolgono minori in illecito affidamento con carattere di definitività. La condanna comporta la inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l’incapacità all’ufficio tutelare.

Chiunque svolge opera di mediazione al fine di realizzare l’affidamento di cui al primo comma è punito con la reclusione fino ad un anno o con multa fino a lire 2.000.000”.

Si deve precisare che l’affidamento del neonato era avvenuto al di fuori di un procedimento di adozione e che nulla era stato corrisposto alla madre biologica, essendo interessata solamente ad affidare a terzi il bambino in quanto non poteva tenerlo a casa della sua giovane età, in quanto il corrispettivo in denaro era stato versato dalla coppia al solo medico ginecologo.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno dichiarato inammissibili ed infondati i motivi di ricorso, ritenendo non configurabile il reato di truffa trattandosi dell’inadempimento di accordo illecito nella causa, suscettibile di essere inquadrato nello schema della corruzione, vista la qualifica di esercente di pubblico servizio del medico ginecologo, e la sufficienza della promessa di compiere l’atto contrario al fine di consumare il delitto di corruzione e tenuto conto che un atto contrario è stato effettivamente posto in essere con la consegna del neonato ad una coppia diversa dai genitori naturali.

L’articolo 567 del codice penale che disciplina l’alterazione di stato dispone quanto segue:

“Chiunque, mediante la sostituzione di un neonato, ne altera lo stato civile è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

Si applica la reclusione [da cinque a quindici anni] a chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità”.

Deve essere ritenuta infondata anche la questione di diritto dedotta in riferimento alla fattispecie del reato ex art. 71 l. n. 1983/1984. Il delitto contestato non richiede che l’affidamento illegale del minore sia avvenuto nell’ambito di una procedura formale di adozione, né è richiesto per colui che affida il minore la previsione di un compenso economico come corrispettivo della consegna del minore stesso, essendo tale compenso previsto solamente come condizione di punibilità per colui che riceve il minore in illecito affidamento.

Chiunque affida illegittimamente un minore viola sempre e comunque il suo interesse ad un affidamento nel rispetto di tutte le condizioni poste a sua tutela; chi lo riceve invece è punito solamente nel caso in cui abbia pagato un corrispettivo, in quanto non si è ritenuto meritevole di pena colui che lo riceva per appagare un desiderio naturale di genitorialità.

Ricorre il reato di alterazione di stato ex art. 567 c.p. e non quello ex art. 71 nel caso in cui chi riceve il minore uti filius lo riceve con un falso riconoscimento della paternità, mentre ricorre l’art. 71 nel caso di chi riceve il minore in illecito affidamento nel caso di una attività di fatto preordinata ad una futura adozione, quindi senza alternarne lo stato civile.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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