Sicilia: iscrizione e cancellazione dall’albo degli insegnati

La condanna penale comporta l’automatica cancellazione dall’albo regionale del personale docente.

Il presente articolo mira ad offrire al lettore un quadro complessivo delle ragioni che hanno condotto la Corte Costituzionale a ritenere non censurabile il sistema di automatica cancellazione dall’Albo, introdotto nel 1976 dalla Regione Sicilia, del personale docente isolano.


Il caso sottoposto alla Corte.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, a Sezioni riunite, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale a mezzo di specifica ordinanza.

Al fine di iscriversi nell’apposito Albo regionale del personale docente siciliano, risulta dirimente l’assenza di una qualsivoglia condanna penale. Anche per quanto concerne la cancellazione dallo stesso, è prevista la cancellazione automatica nel caso venga inflitta all’iscritto una condanna penale. Non rileva la tipologia della stessa e non è previsto alcun procedimento in contraddittorio per valutare l’eventuale cancellazione.

Pertanto, secondo il remittente, saremmo di fronte ad una palese violazione dei ben noti principi di proporzionalità e ragionevolezza della Carta Costituzionale.

La violazione lamentata insisterebbe proprio sull’assenza di un qualunque tipo di procedimento in contraddittorio con l’interessato. Altro profilo di critica riguarda l’assenza di una qualsivoglia tipizzazione di alcune fattispecie penali rilevanti. Anche un reato cosiddetto bagatellare diventerebbe un impedimento per l’iscrizione e la permanenza nell’Albo de quo.


Le motivazioni della Corte Costituzionale a sostegno delle previsioni della Regione Sicilia.

La norma di cui si chiede la revisione da parte del Giudice delle Leggi è quella contenuta nell’articolo 14 della Legge Regionale Sicilia n. 24 del 1976. Questa norma individua i requisiti soggettivi di ammissione o di esclusione all’Albo degli insegnanti della Regione Sicilia. La parte che a noi interesse è quella relativa all’assenza di una qualsivoglia condanna penale riferibile all’aspirante e o all’iscritto.

Il Tribunale di merito ha contestato, in buona sostanza l’ampiezza di una siffatta disposizione. La censura mossa, però, richiederebbe la pronuncia da parte della Corte Costituzionale di tipo additivo e, pertanto, preclusa dal perimetro dei suoi poteri.

Inoltre, le censure sollevate dalla Tribunale Amministrativo confondono:

“[….] la situazione giuridica in cui versa il pubblico dipendente ovvero l’appartenente ad un ordine professionale e colui che è inserito in nell’Albo di cui all’art. 14 Legge Regione Sicilia n. 24 del 1976 […]”.

La Corte, in ogni caso, rileva che la semplice condanna penale rappresenta un sufficiente indice di non meritevolezza, anche andando ad analizzare nel merito le censure mosse dalla Tribunale Amministrativo. Questa considerazione si riflette su un’ulteriore circostanza conseguente. Infatti, ciò comporta che il legislatore avrà una variegata gamma di soluzioni che potrà adottare sul punto e, naturalmente, ciò è rimesso al suo potere discrezionale.

Le stesse considerazioni possono riflettersi sulle questioni rilevate in ordine alla mancanza di contraddittorio. Sul punto, forse, la Corte non sviluppa particolari considerazioni; anche se, al lettore della sentenza, l’assenza di un confronto con l’interessato risultava una questione più pregnante rispetto alla prima affrontata.


Conclusioni della Corte.

La Corte, come già indicato, ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimità costituzionale poste alla sua attenzione. La chiosa con cui il Supremo Collegio conclude il proprio ragionamento ben racchiude il principio di diritto che può riassumere tutto quanto sin qui esposto:

“[…] la prospettazione su cui si basa l’ordinanza di rimessione non è ammissibile, consistendo nella richiesta alla Corte dell’impossibile istituzione di una procedura valutativa e di correlato potere discrezionale, in ordine alla compatibilità della condanna penale con l’iscrizione all’albo dei formatori professionali […]”.

Avv. Jacopo Marchini