SULL’ACCESSO ABUSIVO AI SOCIAL NETWORK
Due sentenze che condannano l’accesso abusivo ai social network
Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 02905 e n. 02942 del 2019
La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con le sentenze n. 02905 e 02942 del 2019 ha chiarito che il partner che effettua il login con username e password sul profilo Facebook della compagna rischia una condanna per accesso abusivo a sistema informatico.
Nel primo caso, la Corte d’Appello aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale di primo grado, con cui era stato condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 615-ter c.p. per essere entrato nel profilo Facebook della moglie con le sue credenziali, aver fotografato la chat che questa aveva intrattenuto con altro uomo e cambiare password.
L’articolo 615-ter c.p. dispone che:
“Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni:
1) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema;
2) se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è palesemente armato;
3) se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema o l’interruzione totale o parziale del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso contenuti.
Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni e da tre a otto anni.
Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri casi si procede d’ufficio”.
Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno dichiarato inammissibile il ricorso, ribadendo quanto già affermato con la sentenza n. 52572 del 2017:
“la circostanza che il ricorrente fosse a conoscenza delle chiavi di accesso della moglie al sistema informativo, quand’anche fosse stata quest’ultima a renderle note e a fornire, così, in passato, un’implicita autorizzazione all’accesso, non escluderebbe comunque il carattere abusivo degli accessi sub iudice. Mediante questi ultimi, infatti, si è ottenuto un risultato certamente in contrasto con la volontà della persona offesa ed esorbitante rispetto a qualsiasi possibile ambito autorizzatorio del titolare dello ius excludendi alios, vale a dire la conoscenza di conversazioni riservate e finanche l’estromissione, dall’account Facebook della titolare del profilo e l’impossibilità di accedervi”.
Nel secondo caso invece, sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano ritenuto colpevole l’imputato di accesso abusivo a sistema informatico, in quanto abusivamente si era introdotto nel profilo Facebook e nel sistema di posta elettronica dell’ex compagna, sostituendosi a lei nell’inviare ad un suo ex fidanzato frasi ingiuriose.
La Corte di Cassazione, anche in tal caso ha dichiarato inammissibile il ricorso ed ha condannato l’imputato per il reato ex art. 615-ter c.p.