SULLA DETENZIONE DI ANIMALI IN CONDIZIONI INCOMPATIBILI CON LA LORO NATURA


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Detenere gli animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze

Il reato di abbandono di animali è disciplinato dall’articolo 727 del codice civile e dispone quanto segue:

“Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.

Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”.

Particolare interessante appare il secondo comma dell’articolo in questione.

Secondo costante orientamento giurisprudenziale

“anche l’ipotesi della detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loto natura non può prescindere, al pari delle altre, per la sua configurabilità, dalla presenza dell’elemento della sofferenza, intesa come lesione dell’integrità fisica dell’animale. E tale sofferenza, che deve caratterizzare la condotta, deve risultare da una prova adeguata, nella specie raggiunta, non superabile sulla base di semplici presunzioni circa le conseguenze negative sul benessere fisico degli animali”.

La Corte di Cassazione, terza sezione penale, ha avuto modo di pronunciarsi  di recente con la sentenza n. 49791 del 2019 sul caso in cui un uomo era stato condannato per abbandono di animali per aver detenuto diciotto cani di diverse razze in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.

Nello specifico gli animali erano detenuti in sei recinti chiusi con reti metalliche arrugginite e spuntoni pericolosi, su superficie in terra battuta, ricoperta da escrementi stratificati e mal coibentati, lasciando di fatto i cani in balia delle condizioni atmosferiche.

Nell’adire la Cassazione il ricorrente sostiene che la sua condotta era mossa dalla generosità verso i cani che erano stati abbandonati dai loro proprietari, che aveva ricevuto tutte le autorizzazioni dal Comune e gli animali erano in buona salute e ben nutriti.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno concordato con i giudici di merito nel ritenere che sebbene i cani fossero ben nutriti, la circostanza di detenerli chiusi in recinti, ricoperti da escrementi, al freddo ed in mezzo alla sporcizia, costituiva una condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 727 c.p., trattandosi di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura.

Pertanto, nel caso di specie  secondo gli Ermellini non può esservi il proscioglimento per tenuità del fatto, in quanto i giudici hanno valorizzato la crudeltà posta in essere dal ricorrente nei confronti dei cani.

Un’altra pronuncia della Corte di Cassazione particolarmente interessante è stata la sentenza n. 29894 del 2018 con la quale  ancora una volta è stato confermato l’orientamento già espresso in diverse pronunce; incorre nel reato di maltrattamento di animali chiunque lasci per due settimane il proprio cane in giardino durante il periodo estivo, perché partito per andare in vacanza.

A nulla sono valse le difese della donna contro la condanna ed il sequestro preventivo dell’animale, che si era difesa sostenendo che l’animale aveva cibo e acqua e che le sue precarie condizioni di salute non erano dovute allo stato di abbandono ma ad una malattia contratta prima che lei lo adottasse dal canile.

Secondo gli Ermellini

“nella valutazione del fumus commissidelicti, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti […]”.

Avv. Tania Busetto

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