SUL REATO DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

Nel caso in cui il reato di maltrattamenti in famiglia, ex art. 572 c.p., assorbe i delitti di percosse e minacce anche gravi, la condotta minacciosa rappresenta una peculiare modalità con cui viene a realizzarsi la fattispecie di maltrattamenti.

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 16855 del 2019

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano condannato l’imputata per il reato ex art. 572 c.p., per aver maltrattato la figlia minorenne, con ingiurie, percosse, minacce e per averle offerto delle sostanze stupefacenti di cui faceva ampio e frequente utilizzo al suo cospetto. Inoltre la figlia minore poteva assistere all’alterazione psico-fisica della madre, vedendola anche in atteggiamenti promiscui con diversi uomini, così infliggendole sofferenze fisiche e morali tali da rendere abitualmente dolorosa e intollerabile la convivenza.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno dichiarato inammissibile e infondato il ricorso, rilevando come il reato di maltrattamenti in famigli assorbe i delitti di percosse e minacce anche gravi; infatti

“la condotta minacciosa costituisce una particolare modalità attraverso cui viene a realizzarsi la fattispecie di maltrattamento”.

L’articolo 572 del codice penale prevede che:

“Chiunque, fuori dai casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte è punito con la reclusione da due a sei anni.

[La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di minore degli anni quattordici.]

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni”.

Detto ciò è chiaro che nel caso in cui il reato di maltrattamenti in famiglia, ex art. 572 c.p., assorbe i delitti di percosse e minacce anche gravi, la condotta minacciosa rappresenta una peculiare modalità con cui viene a realizzarsi la fattispecie di maltrattamenti.

Non merita accoglimento nemmeno l’altro motivo di ricorso, a mezzo del quale la ricorrente aveva contestato la sua responsabilità sulla base delle dichiarazioni della parte offesa, la figlia minorenne, la cui attendibilità non sarebbe stata adeguatamente valutata dai giudici di merito.

Secondo costante orientamento giurisprudenziale

“le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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