SUI DANNI CAUSATI DALLA FAUNA SELVATICA IN CASO DI INCIDENTE

CHI E’ RESPONSABILE PER I DANNI CAGIONATI DALLA FAUNA SELVATICA

La Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sulla legittimazione passiva per il pagamento dei danni causati dagli impatti tra veicoli e fauna selvatica, laddove per tale si intende la fauna proveniente direttamente dall’ambiente naturale.

Con la recente ordinanza n. 18454 del 8 giugno 2022 la Cassazione Civile ha ribadito una volta per tutte che in applicazione dell’art. 2052 c.c. la legittimazione passiva in materia di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici, spetta in via esclusiva alla Regione.

Nella fattispecie sottesa alla pronuncia in esame, la Regione eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, rilevando di essere esente da responsabilità, sia ai sensi dell’art. 2043 c.c., che dell’art. 2052 c.c.. La Provincia, dal suo canto, citata anch’essa, invece eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, ai sensi e per gli effetti della L. n. 157 del 1992, anche specificando che l’evento si era realizzato a causa della condotta imprudente del giudatore.

In prima istanza il Giudice di Pace riteneva una responsabilità al 50 e 50 tra la Regione e l’attore. La Regione impugnava la pronuncia lamentando, tra i vari motivi, che il Giudice di prime cure non avesse rilevato il difetto di legittimazione passiva, essendo l’Anas o l’Amministrazione provinciale responsabili dei danni cagionati da animali selvatici. Il Tribunale in seconda istanza, accoglieva l’appello principale ritenendo, considerata la L. n. 157 del 1992, la L.R. n. 19/1993, che del danno provocato a terzi dalla fauna selvatica possono essere chiamate a rispondere sia la Regione sia la Provincia e che spetti al giudice di merito accertare se nel caso concreto l’evento dannoso debba essere ricollegato ad una condotta colposa dell’una o dell’altra.

La decisione veniva impugnata dinnanzi alla Corte di Cassazione che concludeva con la pronuncia in commento richiamando i seguenti principi di diritto:

– “i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’art. 2052 c.c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992, rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema”;

– “nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c., la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno”;

– “in materia di danni da fauna selvatica a norma dell’art. 2052 c.c., grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure – concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema – di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi”;

Il Supremo Consesso riteneva quindi superato il precedente orientamento che escludeva l’applicazione in materia del regime normativo ex art. 2052 c.c., giacché la normativa sulla proprietà pubblica delle specie protette, volta alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, attrubuisce all’uopo alle Regioni,

specifiche competenze normative e amministrative, nonché di indirizzo, coordinamento e controllo sugli enti minori titolari di più circoscritte funzioni amministrative, proprie o delegate”

da cui discende una situazione assimilabile a quella di “utilizzazione”, volta a  trarre una utilità collettiva pubblica per l’ambiente e l’ecosistema.

Pertanto, chiarivano gli ermellini, è la Regione a dover essere considerata, ex art. 2052 c.c., l’esclusiva responsabile dei danni causati dagli animali, a meno che non provi la sussistenza del caso fortuito.

Il danneggiato deve invece provare di avere subito un danno cagionato da un animale selvatico appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato, la dinamica del sinistro e il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito.

Per la Corte

Ove si controverta di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli ed animali selvatici non basta ai fini dell’applicabilità del criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. – la sola dimostrazione della presenza dell’animale sulla carreggiata e neanche che si sia verificato l’impatto tra l’animale ed il veicolo, in quanto, poiché al danneggiato spetta di provare che la condotta dell’animale sia stata la “causa” del danno e poiché, ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 1, in caso di incidenti stradali, il conducente del veicolo è comunque onerato della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, quest’ultimo per ottenere l’integrale risarcimento del danno che afferma di aver subito – dovrà anche allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida, da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici, e che la condotta dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui – nonostante ogni cautela – non sarebbe stato possibile evitare l’impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno”

In conclusione, la Suprema corte cassava con rinvio la sentenza di secondo grado.

Cassazione civile sez. VI 08.06.2022 (ud. 07.04.2022 dep. 08.06.2022) n.18454