SI VA IN PENSIONE ANCHE SE NON SONO STATI VERSATI TUTTI I CONTRIBUTI ALLA CASSA?

“Si” al trattamento pensionistico di vecchiaia anche se i contributi non sono stati versati integralmente alla Cassa

Cassazione civile, Sez. lavoro, Sentenza del 14-06-2018, n. 15643

La questione oggetto del presente giudizio attiene al problema del riconoscimento delle annualità di contribuzione, ai fini della pensione di vecchiaia, ove i versamenti contributivi siano stati non integrali, seppure in piccola parte, e i relativi crediti siano prescritti.

I fatti di causa

La Corte d’appello di L’Aquila ha respinto l’appello della Cassa Italiana di Previdenza e Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti avverso la sentenza di primo grado che, in accoglimento della domanda di un geometra, aveva condannato la Cassa a costituire in favore del predetto il trattamento pensionistico di vecchiaia e a pagare i ratei arretrati.

In particolare il tribunale di secondo grado ha ritenuto integrato il requisito dell’anzianità contributiva (“almeno trent’anni di effettiva contribuzione”), come richiesto dall’art. 2, comma 1, del Regolamento della Cassa, nonostante la non integralità dei contributi versati per gli anni dal 1988 al 1991 e 1995, 2003 e 2004; inoltre ha dichiarato la prescrizione dei crediti contributivi relativi agli anni dal 1987 al 1991.

La corte territoriale basava la propria determinazione sulle seguenti argomentazioni:

1) nel regime precedente la delibera del 25.11.1998 modificativa del Regolamento della Cassa, la decorrenza della prescrizione coincidesse con la trasmissione a quest’ultima della dichiarazione del debitore sull’ammontare del reddito professionale dichiarato, anche in caso di denuncia incompleta o infedele;

2) in base all’art. 6 del Regolamento non poteva individuarsi il dies a quo del decorso della prescrizione nel momento di ricezione, da parte della Cassa, dei dati provenienti dall’Amministrazione finanziaria, risolvendosi tale lettura in una indiscriminata rimessione in termini della parte creditrice.

3) l’ insussistenza dei presupposti di cui all’art. 2941 c.c., n. 8, che subordina la sospensione della prescrizione ad un comportamento del debitore di occultamento tale da creare una difficoltà di accertamento non superabile con i normali controlli.

4) la Cassa non poteva invocare il termine di prescrizione decennale, applicabile, secondo la L. n. 335 del 1995, nel caso di atti interruttivi già compiuti o procedure finalizzate al recupero dell’evasione contributiva iniziate durante la previgente disciplina, non potendosi considerare “procedura” la richiesta della Cassa di informazioni al Ministero delle Finanze in quanto priva di contraddittorio col debitore e non essendovi prova, quanto all’atto interruttivo costituito dalla missiva del 18.1.1999, della ricezione da parte dell’assicurato.

Si giungeva in Cassazione per iniziativa della  Cassa, che in particolar modo hasostenuto, in dissenso rispetto al precedente pronuncia della stessa Corte n. 5672 del 2012, relativa alla previdenza forense, come ai fini dell’anzianità contributiva non potessero computarsi gli anni coperti da contribuzione non integrale.

Vedi anche

La ricorrente ha argomentato come l’aggettivo “effettivo“, riferito all’iscrizione, dovesse essere inteso come “regolare“, cioè valido dal punto di vista sostanziale, e che tale significato dovesse valere anche per la “effettiva contribuzione“.

Non solo, ma ha anche rilevato come la liquidazione della pensione nel settore della previdenza forense fosse legata al “reddito dichiarato ai fini Irpef” e

“come il sistema contributivo commisurasse la contribuzione tanto sul reddito imponibile ai fini Irpef (contributo soggettivo) quanto sul volume di affari ai fini Iva (contributo integrativo), risultando impossibile riproporzionare il reddito annuale utile ai fini pensionistici alla “effettiva contribuzione” ove sia stato omesso, in tutto o in parte, il contributo integrativo”

“Ha ritenuto tali argomenti validi anche per il sistema di previdenza per i geometri liberi professionisti posto che la L. n. 773 del 1982, art. 2, sebbene in modo parzialmente diverso dalla L. n. 576 del 1980, ripropone il binomio “effettiva iscrizione” ed “effettiva contribuzione” e ancora la misura della pensione al reddito dichiarato ai fini Irpef.”

“Ha concluso che, nel caso di specie, la contribuzione relativa agli anni 1987-1991, in quanto non integrale, non potesse ritenersi regolare, e quindi effettiva, con conseguente necessità di esclusione della stessa dal calcolo della anzianità contributiva necessaria ai fini della pensione di vecchiaia.”

La decisione della Corte

La Corte ritiene il ricorso infondato poichè la sentenza d’appello si è attenuta ai principi già espressi dalla stessa Corte di Cassazione con le pronunce  n. 5672 del 2012, n. 26962 del 2013e n. 7621 del 2015 che, se pure riferiti ad altro settore previdenziale, possono ribadirsi in relazione alla previdenza dei geometri liberi professionisti.

“Deve anzitutto rilevarsi, dal punto di vista letterale, come gli argomenti spesi dalla Cassa ricorrente per censurare l’indirizzo di cui alla citata sentenza n. 5672 del 2012, non si attaglino alla fattispecie in esame.”

Osserviamo che L. n. 141 del 1992, art. 1, relativa alla previdenza forense prevede ai primi due commi:

“La pensione di vecchiaia è corrisposta a coloro che abbiano compiuto almeno sessantacinque anni di età, dopo almeno trenta anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa e sempre che l’iscritto non abbia richiesto il rimborso di cui al primo comma dell’art. 21. La pensione è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, all’1,75 per cento della media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione”.

Mentre la L. n. 773 del 1982, art. 2, stabilisce, al comma 1, che

“La pensione di vecchiaia è corrisposta a coloro che abbiano compiuto almeno sessantacinque anni di età, dopo almeno trenta anni di effettiva contribuzione alla Cassa in relazione a regolamentare iscrizione all’albo”;

al comma 2:

“La pensione annua è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, al 2 per cento della media dei più elevati dieci redditi annuali professionali rivalutati, dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione”.

La questione oggetto del presente giudizio attiene al problema del riconoscimento delle annualità di contribuzione, ai fini della pensione di vecchiaia, ove i versamenti contributivi siano stati non integrali, seppure in piccola parte, e i relativi crediti siano prescritti.

Tale questione può essere decisa in relazione alla regolamentazione normativa dettata per il riconoscimento e il calcolo della pensione che, appunto, fa leva non sulla integralità della contribuzione bensì sulla effettività della stessa.

C’è da dire che in senso contrario la sentenza n. 10431 del 2017 della Corte di Cassazione secondo cui, nel regime previdenziale proprio dei liberi professionisti,

“l’erogazione delle provvidenze non è collegata alla maturazione dei presupposti per il sorgere dell’obbligazione contributiva ma al suo integrale adempimento”.

Però questa pronuncia si riferisce all’anzianità contributiva utile per la pensione di anzianità ed attiene più precisamente alle annualità per le quali l’assicurato aveva estinto l’obbligazione contributiva, ma era ancora in debito per le sanzioni.

L’esigenza di integralità dell’adempimento contributivo è stata affermata, nel caso oggetto della citata sentenza, in ragione del vincolo di dipendenza genetico – funzionale ed accessoria delle sanzioni civili rispetto all’obbligazione principale ma la statuizione non investe il tema della commisurazione della pensione alla contribuzione effettivamente versata, anche se solo parzialmente.

Avv. Tania Busetto


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