LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE PROSSIMO ALLA PENSIONE

Un dipendente prossimo alla pensione può essere licenziato anche se l’azienda non verte in uno stato di crisi?

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 24755 del 2018

Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva riformato la decisione di primo grado, dichiarando la nullità del licenziamento intimato al ricorrente, condannando di conseguenza la società a reintegrarlo nel posto di lavoro e a risarcirgli il danno patito.

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha rammentato che già in precedenza, con la sentenza n. 19457 del 2015, si era pronunciata su un caso analogo, disponendo all’epoca che:

“In tema di licenziamenti collettivi diretti a ridimensionare l’organico al fine di diminuire il costo del lavoro, il criterio di scelta unico della possibilità di accedere al prepensionamento, adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali, è applicabile a tutti i dipendenti dell’impresa a prescindere dal settore al quale gli stessi siano assegnati, senza che rilevino i settori aziendali di manifestazione della crisi cui il datore di lavoro ha fatto riferimento nella comunicazione di avvio della procedura, valorizzando tale soluzione, in linea con la volontà del legislatore sovranazionale, espressa nelle direttive comunitarie recepite dalla l. n. 223 del 1991 e codificata nell’art. 27 della Carta di Nizza, il ruolo del sindacato nella ricerca dei criteri che minimizzino il costo sociale della riorganizzazione produttiva, a vantaggio dei lavoratori che non godono neppure della minima protezione della prossimità al trattamento pensionistico”.

Nella sentenza appena richiamata vengono evidenziati due differenti orientamenti; secondo il primo si ritiene il criterio delle esigenze tecnico-produttive utile non solo a fondare la decisione della procedura di licenziamento collettivo, ma necessario anche per individuare i dipendenti da licenziare; in base al secondo orientamento invece viene richiamato il suddetto orientamento solamente al fine di ritenere fondata la scelta del recesso, ma non lo lega alla fase seguente della scelta dei lavoratori.

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La Corte di legittimità negli ultimi anni ha aderito al secondo orientamento, giustificando tale decisione sulla base della forte valorizzazione data nelle procedure collettive ai diritti di informativa sindacale, posti a presidio del consapevole svolgimento delle trattative e degli accordi, nonché dal fondamentale ruolo assicurato alle organizzazioni sindacali circa l0individuazione di soluzioni complessive nell’azienda che riducano drasticamente il costo sociale della riorganizzazione.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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