IN TEMA DI AUTOTUTELA TRIBUTARIA

Il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi ad eccepire eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione è definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto.

Corte di Cassazione, quinta sezione civile, ordinanza n. 4933 del 2019

Il caso di specie origina da un avviso di accertamento, con cui un Comune Italiano aveva determinato le somme dovute da una società a titolo di ICI per gli anni dal 2003 al 2007 oltre interessi e sanzioni. Divenuto definitivo l’avviso di accertamento per mancata impugnazione, la società aveva formulato all’ente una richiesta di sgravio in autotutela ed il Comune aveva confermato il diniego all’annullamento e/o alla modifica in autotutela dell’avviso di accertamento.

La Commissione Tributaria Provinciale aveva rigettato il gravame proposto dalla società così come la Commissione Tributaria Regionale, ritenendo che nel caso di specie la contribuente, con l’impugnazione del diniego di autotutela, aveva invocato un provvedimento che postulava la valutazione della fondatezza della pretesa tributaria senza allegare o provare l’esistenza di un interesse pubblico all’annullamento.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno rammentato che deve essere applicato il principio secondo cui:

“il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi ad eccepire eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione è definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per allegare eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria”.

In base all’articolo 19, primo comma del D.Lgs n. 546 del 1992:

“Il ricorso può essere proposto avverso:

a)l’avviso di accertamento del tributo;

b)l’avviso di liquidazione del tributi;

c) il provvedimento che irroga le sanzioni;

d)il ruolo e la cartella di pagamento;

e)l’avviso di mora;

e-bis) l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77 del decreto del presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e successive modificazioni;

e-ter) il fermo dei beni mobili registrati di cui all’articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602 e successive modificazioni;

f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’art. 2 comma 2;

g) il rifiuto espresso o tacito della restituzione dei tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;

h) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;

i)ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie”.

Da quanto appena esposto né consegue che nel caso di diniego da parte dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione solamente nel caso in cui si vogli allegare eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non invece per contestare la fondatezza della pretesa tributaria.

Quindi, il contribuente non può con lo strumento dell’autotutela ottenere il riesame della fondatezza dell’atto impositivo definitivo, a meno che non vi sia manifesta illegittimità dell’atto.

Conformi a tale indirizzo si possono rammentare le sentenze della Corte di Cassazione sezione civile, n. 17748 del 2009 e la n. 7014 del 2017.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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