IN QUALI CASI LA QUERELA PER STALKING È REVOCABILE?


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La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la pronuncia n.05092 del 2020 è intervenuta per chiarire che nel caso in cui le minacce ex art 612 bis c.p. non siano gravi, la vittima ha la possibilità di revocare la querela

L’articolo 612 bis c.p. sopra citato dispone che:

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio”.


Nel caso di specie l’imputato aveva proposto ricorso in Cassazione lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità dello stesso per il delitto di atti persecutori; i giudici di merito non avrebbero verificato l’effettiva sussistenza dell’elemento oggettivo del reato.
inoltre lamenta il vizio di motivazione e violazione di legge per non aver ritenuto la rimettibilità della querela sulla sola base della ripetitività delle minaccesenza valutarne la gravità, così come previsto dalla norma di riferimento.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno accolto il ricorso, evidenziando come l’affermazione della Corte territoriale secondo la quale

“il cambiamento delle abitudini di vita può essere un sontomo della condotta illecita ma non è un requisito essenziale”

è errata, proprio alla luce della lettera dell’art. 612 bis c.p. che prevede che, al fine di configurare il delitto di atti persecutori, alla condotta reiterata di minaccia o molestia, debba derivare uno degli eventi alternativamente previsti, ossia un perdurante e grave stato di ansia o il fondato timore per l’incolumità della vittima o di un suo prossimo congiunto o di persona a questa legata da vincoli affettivi o, da ultimo il mutamento delle sue abitudini di vita.

L’affermazione della Corte di merito, secondo cui

“la remissione della querela non ha potuto produrre l’effetto estintivo del reato, poichè ricorrono minacce reiterate, a nulla rilevando secondo la legge il carattere di gravità, ma la ripetizione della condotta volta a spaventare la vittima”,

è in netto contrasto con quanto dispone l’art. 612 bis, quarto comma, c.p., che stabilisce l’irrevocabilità della querela solamente nel caso in cui le minacce reiterate concretino anche l’ipotesi prevista dal secondo comma, e pertanto,

“se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati dall’art. 339 c.p.”.

Da quanto appena enunciato si evince che la vittima ha la possibilità di revocare la querela solamente nel caso in cui le minacce ad essa perpetrate dall’aggressore non siano gravi e reiterate.

Avv. Tania Busetto

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