FIGLI: QUANDO L’ECCESSO EDUCATIVO SFOCIA IN VIOLENZE


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Non può ritenersi lecito l’uso sistematico da parte del genitore di violenza fisica e morale, come ordinario trattamento del figlio minore, anche se sorretto da animus corrigendi, integrando in tal caso il più grave reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di abuso di mezzi di correzione. Né tali comportamenti maltrattanti possono ritenersi compatibili e giustificabili con un intento correttivo ed educativo proprio della condizione culturale di cui l’agente è portatore

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 36832 del 2019

La Corte d’Appello, in riforma della decisione di primo grado, aveva dichiarato l’imputato non colpevole dei reati di cui all’art. 572 e 582 c.p. per aver maltrattato la figlia minorenne e di averle provocato in un’occasione lesioni personali, perché il fatto non sussiste.

Secondo i giudici i comportamenti dell’uomo dovevano collocarsi nel difficile rapporto tra padre e figlia, fatto di incomprensioni e incomunicabilità, nel quale il primo esprimeva il suo disappunto e disagio per una figlia che aveva sposato una cultura troppo moderna.

L’imputato quindi non aveva agito con l’intento di “umiliare o vessare” la figlia, dato che le frasi proferite erano state pronunciate in momenti di particolare tensione e concitazione, quando aveva scoperto che la minore aveva portato a casa vestiti e trucchi rubati, oltre ad aver marinato diverse volte la scuola.

Secondo la Corte dovevano essere presi in considerazione anche elementi di segno contrario all’ipotesi accusatoria, come la decisione della minore di fare ritorno alla casa del padre, a dimostrazione che il loro rapporto non fosse irrimediabilmente incrinato, il ritrovamento di alcune lettere d’affetto indirizzate al genitore nonché il suo diario nel quale non vi era traccia di sofferenze subite.

Il quadro delineato consentiva di ritenere tutti i protagonisti della vicenda quali “vittime” di una situazione familiare difficile. Per quanto concerne le lesioni riportate dalla ragazza, non rilevava in alcun referto medico la presenza di lesioni “visibili”.

Nel ricorrere in Cassazione il Procuratore presso la Corte d’Appello denuncia vizio di motivazione, in quanto la sentenza impugnata non aveva indicato i motivi per cui ha superato il giudizio di piena attendibilità della persona offesa formulato in primo grado dal Tribunale, considerati i riscontri al suo narrato.

Gli Ermellini hanno accolto il ricorso, ritenendolo fondato, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 14800 del 2017

“mentre nel caso di riforma della sentenza assolutoria al giudice d’appello si impone l’obbligo di argomentare circa la plausibilità del diverso apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano inficiato la permanente sostenibilità del primo giudizio, per il dibattimento della sentenza di condanna, al contrario, il giudice d’appello può limitarsi a giustificare la perdurante sostenibilità di ricostruzioni alternative del fatto, sulla base di un’operazione di tipo essenzialmente demolitivo”.

Da quanto appena esposto ne deriva che il giudice di seconde cure, nel riformare la condanna di primo grado con una sentenza di assoluzione dovrà confrontarsi con le ragioni adottate a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l’integrale riforma.

La Corte d’Appello, nel caso di specie, non aveva preso in considerazioni tutti gli episodi narrati dalla vittima, ridimensionando e alleggerendo la vicenda, facendola rientrare in un eccesso “educativo” per escluderne la punibilità.

Tuttavia, secondo costante orientamento giurisprudenziale:

“non può ritenersi lecito l’uso sistematico da parte del genitore di violenza fisica e morale, come ordinario trattamento del figlio minore, anche se sorretto da animus corrigendi, integrando in tal caso il più grave reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di abuso di mezzi di correzione. Né tali comportamenti maltrattanti possono ritenersi compatibili e giustificabili con un intento correttivo ed educativo proprio della condizione culturale di cui l’agente è portatore”.

Dott.ssa Benedetta Cacace

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