… E SE STACCO LE UTENZE AL MIO EX?

È reato staccare le utenze domestiche all’ex

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 13407 del 2019

Nel caso di specie, l’imputato era stato condannato sia in primo che in secondo grado per il reato di cui all’art. 393 c.p., per aver interrotto con violenza l’erogazione dell’energia elettrica e del gas nell’appartamento dove l’ex moglie e i suoi figli vivevano, costringendoli a rimanere nell’abitazione senza poter usufruire dei servizi sopramenzionati.

L’articolo 393 del codice penale che disciplina l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone prevede che:

“Chiunque, al fine indicato nell’articolo precedente, e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone, è punito, a querela dell’offeso, con la reclusione fino a un anno.

Se il fatto è commesso anche con violenza sulle cose, alla pena della reclusione è aggiunta la multa fino a 206 euro.

La pena è aumentata se la violenza o la minaccia alle persone è commessa con armi”.

L’uomo aveva adottato tale comportamento in quanto l’ex moglie, alla quale in sede di separazione era stata assegnata la casa coniugale, dopo averle ripetutamente richiesto di effettuare la voltura delle utenze, non aveva provveduto in tal senso. Le bollette infatti erano intestate ad una società di cui l’ex marito era amministratore ed in sede di separazione coniugale, il giudice aveva accollato le spese dell’abitazione all’ex moglie.

Secondo il Tribunale di primo grado il comportamento dell’uomo doveva rientrare nella fattispecie disciplinata dall’art. 393 c.p., in quanto aveva agito arbitrariamente al fine di esercitare un diritto.

Durante il giudizio vi era stata una riqualificazione dell’azione dell’imputato, facendola rientrare nella previsione di quanto disposto dall’art. 610 c.p.

“Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.

La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339”.

Nel ricorrere in Cassazione l’imputato ritiene che non sarebbe configurabile la fattispecie di cui all’art. 393 c.p. per mancanza dell’arbitrarietà della condotta, in quanto la società affittuaria aveva la necessità doverosa di intervenire per la sicurezza sul lavoro, a chiudere le utenze alla fine della giornata.

Gli Ermellini, intervenuti per dirimere la questione hanno dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’uomo in quanto, secondo costante orientamento giurisprudenziale:

“Sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nell’ipotesi in cui tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità d’effettiva difesa”.

La derubricazione del fatto, effettuata dal giudice di primo grado, nell’ipotesi delittuosa meno grave di cui all’art. 393 c.p. era solamente l’adesione alla tesi difensiva introdotta dallo stesso imputato nel corso del dibattimento, ossia che la condotta fosse giustificata dal fine di tutelare un proprio preteso diritto.

Il fatto che l’uomo avesse provveduto a staccare le utenze al fine di tutelare un preteso diritto, dato che l’ex moglie più volte sollecitata non vi aveva autonomamente provveduto, non è una valida esimente idonea a rendere lecita la sua azione, posto che si versava in ogni caso nella fattispecie di esercizio arbitrario del diritto, ex art. 393 c.p.

La scriminante dell’esercizio del diritto non può essere applicata al caso di specie in quanto l’esercizio di un diritto “contestabile” avviene con l’ausilio dirimente del giudice, non essendo concesso legittimare l’autosoddisfazione per il superamento degli ostacoli che si frappongono al concreto esercizio del diritto.

Come disposto dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23923 del 2014:

“è legittima la violenza sulle cose solo quando sia esercitata al fine di difendere il diritto di possesso in presenza di un atto di turbativa nel godimento della “res”, sempre che l’azione reattiva avvenga nell’immediatezza di quella lesiva del diritto, non si tratti di compossesso e sia impossibile il ricorso immediato al giudice, sussistendo la necessità impellente di ripristinare il possesso perduto o il pacifico esercizio del diritto di godimento del bene”.

Tale situazione nel caso in esame di certo non ricorre, pertanto è legittimo quanto disposto dalla Corte d’Appello.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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