E SE IL CONTRATTO PART-TIME È INVALIDO PER DIFETTO DI FORMA?

Nel caso in cui il contratto di lavoro part-time sia nullo il lavoratore ha diritto alla retribuzione commisurata al tempo pieno?

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 14797 del 2019

La vicenda in esame origina dal ricorso presentato da un’ex lavoratrice con il quale lamenta come in caso di nullità del contratto di lavoro part-time il lavoratore abbia diritto alla retribuzione commisurata al tempo pieno, nel caso in cui dimostri di aver messo a disposizione del datore di lavoro le proprie ulteriori energie lavorative e, comunque, che ove il lavoratore part-time abbia svolto un orario di lavoro superiore a quello indicato nel contratto, l’orario debba essere considerato corrispondente a quello di un contratto full time.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno dichiarato fondato il ricorso, precisando che la decisione assunta dalla Corte d’Appello si era conformata ad un orientamento giurisprudenziale oramai superato alla luce delle pronunce della Corte Costituzionale n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, nonché dalle più recenti pronunce della Cassazione.

Nella sentenza n. 210 sopra richiamata si legge che:

“L’art. 1419, comma 1 non è applicabile rispetto al contratto di lavoro, allorquando la nullità della clausola derivi dalla contrarietà di essa a norme imperative poste a tutela del lavoratore, così come, più in generale, la disciplina degli effetti della contrarietà del contratto a norme imperative trova in questo campo significativi adattamenti, volti appunto ad evitare la conseguenza della nullità del contratto. Ciò, in ragione del fatto che, se la norma imperativa è posta a protezione di uno dei contraenti, nella presunzione che il testo contrattuale gli sia imposto dall’altro contraente, la nullità integrale del contratto nuocerebbe, anziché giovare, al contraente che il legislatore intende proteggere. Così non si dubita che non si estende all’intero contratto la nullità, per motivi di forma o di contenuto, del patto di prova o del patto di non concorrenza, oppure del patto con cui venga attribuito al datore di lavoro un potere illimitato e incondizionato di variare unilateralmente le mansioni o il luogo di lavoro ovvero della clausola appositiva di un termine alla durata del contratto di lavoro, ovvero della clausola che preveda la risoluzione del rapporto di lavoro in caso di matrimonio, e così via. Ed il medesimo assetto si registra anche rispetto a pattuizioni che incidono sullo stesso schema causale del contratto: così è per l’apprendistato e per il contratto di formazione lavoro, posto che la nullità delle relative pattuizioni non è comunque idonea a travolgere integralmente il contratto, ma ne determina la c.d. conversione in un “normale” contratto di lavoro senza che vi si spazio per l’indagine circa la comune volontà dei contraenti in ordine a tale esito”.

Secondo costante orientamento giurisprudenziale il D.Lgs. n.368 del 2001, all’articolo 1 ha affermato il principio secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria anche nel sistema della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine

“per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.

Da quanto affermato ne deriva che in caso di insussistenza delle ragioni giustificativa, all’illegittimità del termine, ad alla nullità della clausola di apposizione dello stesso, consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola.

Con particolare riferimento al contratto part-time, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24476 del 2011 ha avuto modo si affermare che:

“la nullità della clausola sul tempo parziale, per difetto di forma scritta, anche sulla scorta delle indicazioni offerte con la sentenza della Corte costituzionale n. 283 del 2005, non implica…l’invalidità dell’intero contratto…e comporta, per il principio generale di conservazione del negozio giuridico colpito da nullità parziale, che il rapporto di lavoro deve considerarsi a tempo pieno”.

Nella sentenza n. 283 del 2005 la Corte Costituzionale aveva ritenuto possibile un’interpretazione costituzionale orientata, già indicata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 210 del 1992, secondo la quale la nullità per vizio di forma della clausola sulla riduzione dell’orario di lavoro non è comunque idonea a travolgere integralmente il contratto, ma ne determina la c.d. conversione in un “normale contratto di lavoro“, o meglio determina

“la qualificazione del rapporto come normale rapporto di lavoro, in ragione dell’inefficacia della pattuizione relativa alla scelta del tipo contrattuale speciale”.

Pertanto, in caso di nullità del contratto di lavoro part-time per difetto della forma scritta prevista ad substantiam dall’articolo 5 del D.L. n. 726 del 1984, il rapporto di lavoro deve intendersi come full-time, con conseguente diritto del lavoratore alla retribuzione parametrata ad un orario di lavoro pieno.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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