CONSENSO INFORMATO PER INTERVENTO DIVERSO: SI AL RISARCIMENTO

Nel caso in cui l’atto terapeutico sia necessario ed eseguito in maniera corretta, ma dal quale siano derivate delle conseguenze dannose per la salute del paziente, se tale intervento non è stato preceduto da una adeguata informazione in merito ai rischi il medico può essere chiamato a risarcire il danno subito dal paziente che dimostri che, se compiutamente informato non si sarebbe sottoposto all’intervento.

Corte di Cassazione, terza sezione civile, sentenza n. 10423 del 2019

La ricorrente aveva adito la Corte di Cassazione in quanto il giudice di secondo grado aveva respinto le sue pretese risarcitorie, derivanti da responsabilità sanitaria, esperite nei confronti dell’Azienda Ospedaliera e del medico chirurgo.

Nello specifico la donna aveva adito il Tribunale al fine di conseguire il risarcimento dei danni patiti in seguito ad un intervento di asportazione totale della mila, dopo che le era stata prospettata, anche all’esito di un esame ecografico, la necessità di asportare solamente una cisti splenica, non ricevendo in tal modo alcuna preventiva informazione circa l’operazione effettivamente eseguita.

In seguito all’intervento la donna aveva accusato dei forti dolori al torace e dispnea, ed era stata sottoposta ad altri due interventi chirurgici, senza essere messa a conoscenza della natura e della causa di tali complicanze, né sulla terapia praticata. Tuttavia la situazione non era affatto migliorata ed in seguito ad un versamento pleurico era stata nuovamente ricoverata per ulteriori accertamenti.

Persistendo i dolori toracici ed addominali, nonché gonfiore, dispnea, stato ansioso-depressivo e una lesione del nervo frenico in conseguenza dell’intervento di splenectomia, la ricorrente aveva adito il Tribunale di primo grado, al fine di ottenere il risarcimento dei danni.

In primo grado era stata parzialmente soddisfatta, mentre la Corte d’Appello aveva rigettato le sue doglianze.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno dichiarato fondati i motivi di ricorso, evidenziando come la sentenza impugnata muova dal presupposto che i medici non acquisirono dalla ricorrente il consenso informato in merito all’intervento chirurgico, ritenendo tuttavia, che a questa non spetti alcun danno da lesione del diritto all’informazione.

A tale decisione i giudici erano pervenuti da un lato dall’assenza di prova che la paziente

“se adeguatamente informata avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, dall’altro del carattere “necessario” dello stesso.

Tali circostanze utilizzate per rigettare la domanda risarcitoria non assumono alcuna rilevanza ai fini dell’esclusione della responsabilità del medico e della struttura ospedaliera.

Come rammentato da alcune pronunce di Cassazione:

“in tema di attività medico-chirurgica, è risarcibile il danno cagionato dalla mancata acquisizione del consenso informato del paziente in ordine all’esecuzione di un intervento chirurgico, ancorché esso apparisse, “ex ante“, necessitato sul piano terapeutico e sia pure risultato, “ex post“, integralmente risolutivo della patologia lamentata, integrando comunque tale omissione dell’informazione una privazione della libertà di autodeterminazione del paziente circa la sua persona, in quanto preclusiva della possibilità di esercitare tutte le opzioni relative all’espletamento dell’atto medico e di beneficiare della conseguente diminuzione della sofferenza psichica, senza che detti pregiudizi vengano in alcun modo compensati dall’esito favorevole dell’intervento”.

Gli Ermellini, con la sentenza n. 11749 del 2018 hanno affermato che il danno derivante da lesione del diritto all’informazione può essere costituito eventualmente, dalla diminuzione che lo stato del paziente subisce a livello fisico per effetto dell’attività demolitoria, che abbia eliminato, sebbene ai fini terapeutici, parti del corpo o la funzionalità di esse.

“Poiché  tale diminuzione si sarebbe potuta verificare solo se assentita sulla base dell’informazione dovuta e si è verificata in mancanza di essa, si tratta di conseguenza oggettivamente dannosa, che si deve apprezzare come danno-conseguenza indipendentemente dalla sua utilità rispetto al bene della salute del paziente, che è bene diverso dal diritto di autodeterminarsi rispetto alla propria persona”.

Il consenso del paziente infatti si pone quale condizione “essenziale per la liceità dell’atto operatorio” e deve essere inteso quale espressione della consapevole adesione del paziente al trattamento sanitario proposto, essendo un diritto che trova il proprio fondamento nell’articolo 2, 13 e 32 della Costituzione.

Sempre la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23676 del 2008 ha affermato che dal diritto rappresenti

“una forma di rispetto per la libertà dell’individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi, che si sostanzia non solo nella facoltà di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma altresì di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, atteso il principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sé e ne sancisce il rispetto in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive”.

Nel caso in cui l’atto terapeutico sia necessario ed eseguito in maniera corretta, ma dal quale siano derivate delle conseguenze dannose per la salute del paziente, se tale intervento non è stato preceduto da una adeguata informazione in merito ai rischi il medico può essere chiamato a risarcire il danno subito dal paziente che dimostri che, se compiutamente informato non si sarebbe sottoposto all’intervento.

Tali principi sopra richiamati sono stati disattesi dalla sentenza impugnata e pertanto deve essere cassata la sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello, affinché decida in merito alla domanda per lesione del diritto all’autodeterminazione presentata dalla paziente.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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