VIOLENZA SULLE DONNE: UNA SENTENZA STORICA DELLA CORTE EDU

Italia condannata per non aver agito con diligenza: sentenza storica per i casi di violenza contro le donne

CEDU, sez. I, sentenza 1°febbraio 2018, ric. N. 54227-14

Con la sentenza in oggetto, la Corte di Strasburgo ha dichiarato che vi è stata una violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione, ritenendo che le violenze infitte alla ricorrente, tradottesi in lesioni personali e pressioni psicologiche, sono sufficientemente gravi per raggiungere il livello di gravità necessario per rientrare nell’art. 3 della Convenzione.

I giudici hanno anche osservato che le violenze subite dalla donna sono state destabilizzanti per lo svolgimento della sua vita quotidiana ed hanno pregiudicato la sua vita privata. Non vi è alcuna ragione per ritenere che le violazioni dell’integrità fisica vengano escluse dalla nozione di vita privata ex art. 8 CEDU.

Secondo la Corte, in tali casi non si può considerare che le autorità abbiano dato prova della diligenza richiesta.

L’art. 3 della CEDU dispone che:

“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

Invece l’art. 8 CEDU stabilisce che:

“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

La causa in commento nasce da un ricorso proposto contro il nostro Paese, con cui una concittadina ha adito la Corte ex art. 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

La vicenda:

In seguito alla morte della nonna, la ricorrente, all’epoca minorenne, aveva iniziato a mostrare segni di forte disagio, che nel giro di alcuni anni la portarono nel giro della prostituzione e delle droghe.

I genitori della ragazzina si erano rivolti al Tribunale dei Minorenni ed ai servizi sociali; tuttavia era passato più di un anno prima che la minore fosse collocata in una comunità protetta. Tuttavia, nel frattempo la ragazzina era stata vittima di uno stupro di gruppo, in seguito al quale i suoi genitori si erano rivolti alla Corte di Strasburgo.

La Corte ha riconosciuto che lo sfruttamento della prostituzione e lo stupro sono dei comportamenti assimilabili alla tortura e a grave violazione della vita privata. Questo dramma avrebbe potuto evitarsi se solo il Tribunale per i Minorenni ed i servizi sociali si fossero mossi tempestivamente.

Con la condanna precedente (Talpis vs Italia) la stessa Corte di Strasburgo aveva evidenziato l’esigenza di tempestività e di diligenza ragionevole. Non è sufficiente che la legge nazionale predisponga strumenti di tutela, ma i meccanismi di protezione previsti dal diritto interno devono funzionare entro un termine ragionevole.

Pertanto, secondo i giudici della Corte di Strasburgo incombeva sulle Autorità nazionali il compito di vigilare sulla situazione di precarietà e di particolare vulnerabilità nella quale si trovava la ricorrente, offrendole una protezione adeguata.

L’articolo 25 del regio decreto del 1934 dispone quanto segue in caso di irregolare condotta di un minore:

“Quando un minore degli anni 18 dà manifeste prove di irregolarità della condotta o del carattere, il procuratore della Repubblica, l’ufficio di servizio sociale minorile, i genitori, il tutore, gli organismi di educazione, di protezione e di assistenza dell’infanzia e dell’adolescenza, possono riferire i fatti al Tribunale per i minorenni, il quale, a mezzo di uno dei suoi comportamenti all’uopo designato dal presidente, esplica approfondite indagini sulla personalità del minore, e dispone con decreto motivato una delle seguenti misure: 1) affidamento del minore al servizio sociale minorile; 2) collocamento in una casa di rieducazione od in un istituto medico-psico-pedagogico”.

L’art. 25bis del medesimo regio decreto prevede che:

“Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, qualora abbia notizia che un minore degli anni 18 esercita la prostituzione o è vittima di violenze sessuali, ne dà immediata notizia alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, che promuove i provvedimenti per la tutela del minore e può proporre al tribunale per i minorenni la nomina di un curatore il tribunale per i minorenni adotta i provvedimenti utili all’assistenza, anche di carattere psicologico, al recupero e al reinserimento del minore. Nei casi di urgenza il tribunale per i minorenni procede d’ufficio”.

L’art. 27 invece dispone che:

“Nel caso in cui il tribunale abbia disposto la misura prevista dal n. 1 dell’art. 25, all’atto dell’affidamento è redatto verbale nel quale vengono indicate le prescrizioni che il minore dovrà seguire (…). Nel verbale può essere disposto l’allontanamento del minore dalla casa paterna. In tal caso deve essere indicato il luogo in cui il minore deve vivere. (…)L’ufficio di servizio sociale minorile controlla la condotta del minore e lo aiuta a superare le difficoltà in ordine ad una normale vita sociale, anche mettendosi all’uopo in relazione con la sua famiglia (…). L’ufficio predetto riferisce periodicamente per iscritto o a voce al componente del tribunale designato, fornendogli dettagliate notizie sul comportamento del minore, delle persone che si sono prese cura di lui (…)”.

Non rientra tra i compiti della Corte di Strasburgo quello di sostituirsi alle autorità nazionali ed effettuare al posto di queste ultime una scelta tra l’ampia gamma di misure idonee a garantire il rispetto degli obblighi positivi che l’articolo 3 della Convenzione impone loro. Quindi, in virtù dell’art. 19 della medesima Convenzione e del principio in base al quale lo scopo di quest’ultima consiste nel garantire diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi, la Corte deve vigilare affinché gli Stati adempiano in maniera corretta al loro obbligo di proteggere i diritti delle persone posto sotto la loro giurisdizione.

La Corte di Strasburgo non è convinta sull’argomento esposto dal nostro Governo secondo il quale, in mancanza del consenso della minore, la collocazione in un istituto, ordinata dal tribunale nella sua decisione del 9 dicembre 2013, non era possibile. Anche a voler suppore che fosse così, la Corte ha osservato al riguardo che, sebbene la ricorrente avesse negato il consenso all’inserimento in comunità nel dicembre 2013, vi aveva invece acconsentito nel gennaio 2014, ossia tre mesi prima di essere collocata in comunità.

I giudici concludono da ciò che l’assenza del consenso, in un determinato momento, non dispensa lo Stato dall’adottare rapidamente misure di protezione di un minore adeguate e sufficienti, che potessero assicurare la conformità con gli obblighi positivi imposti dagli articoli 3 e 8 della Convenzione.

Quindi, considerano il comportamento dei servizi sociali che non si erano presentati alle udienze ed il tempo da essi impiegato per scegliere una struttura di accoglienza, la Corte conclude che vi è stata una mancanza di reale coinvolgimento di detti servizi nell’esecuzione della decisione del tribunale per i minorenni.

Le autorità non hanno adottato in tempo utile tutte le misure ragionevoli per impedire gli abusi di cui la minore è stata vittima.

In seguito a detta sentenza della Corte di Strasburgo, che alcuni mesi fa ha condannato il nostro Paese per la mancata tutela delle vittime di violenza di genere, il Consiglio Superiore della Magistratura ha elaborato un vademecum per prevenire e contrastare detti reati.

Il Consiglio Superiore della Magistratura ha elaborato nuove regole dedicate a giudici e tribunali per la tutela delle vittime di violenza domestica, di genere e femminicidi, i quali sono sempre più all’ordine del giorno.

Tutti i tribunali e le procure d’Italia sono tenuti ad avere una sezione dedicata a tali reati, i quali vengono gestiti a trattazione prioritaria, in modo che la vittima possa sentirsi protetta dalle leggi che sono dalla sua parte.

Una vera e propria novità avviene all’interno delle aule di tribunale: la vittima non sarà più obbligata a testimoniare innanzi al proprio carnefice, ma potranno deporre dando le spalle all’imputato, come avviene già per i collaboratori o i testimoni di giustizia.

Inoltre, nel caso in cui il giudice lo ritenga opportuno, potranno essere utilizzati metodi alternativi quali la videoconferenza.

Tutto ciò è atto a proteggere la serenità psichica della vittima.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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