UN CASO PARTICOLARE DI STALKING

La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la sentenza n. 49216/2017 ha stabilito che è stalking ossessionare l’ex con il falso pretesto dei figli

Secondo i giudici di Cassazione, l’ingerenza dell’uomo era in realtà solamente un modo per sfogare il risentimento che nutriva contro la ex che lo aveva lasciato per un altro uomo.

Deve essere condannato per stalking l’uomo che perseguita con telefonate e appostamenti che non sono, come sostenuti dalla difesa, tentativi di convincere la donna a prendersi cura del figlio con problemi, ma un modo per sfogare il suo risentimento dopo l’inizio della relazione di lei con un altro uomo. Ciò è quanto disposto dalla Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la sentenza n. 49216/2017.

L’uomo sosteneva che la sua ossessiva ingerenza nella vita della sua ex moglie era dovuta solamente alla necessità di sollecitarla ad interessarsi al figlio problematico, rimasto con lui dopo l’allontanamento della donna dall’abitazione coniugale.

Secondo i giudici, tale versione era da vedere in chiave persecutoria, come sottolineato dai giudici di merito, ovvero come un pretesto dell’imputato per sfogare il suo risentimento.

L’uomo ha continuato a mandare messaggi, telefonare, pedinare e stazionarsi sotto casa della donna per oltre un mese.

La Corte territoriale aveva dato conto del cambiamento delle abitudini di vita della signora, richiamando la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva osservato che questa aveva dovuto ridurre le uscite ed evitare di frequentare alcuni luoghi.

V. anche

L’articolo 612 bis c.p. dispone che:

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunti o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso da coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici […]”.

Quanto alla ricorrenza del dolo, questo appare dimostrato dalla strumentalità del richiamo alle esigenze del figlio problematico, mentre la condotta del prevenuto era finalizzata a vendicarsi per l’abbandono subito.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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