SOLO IL RISARCIMENTO DEL DANNO PATRIMONIALE PER L’AVVOCATO TEDESCO CHE NON HA POTUTO SVOLGERE LA PROFESSIONE IN ITALIA

Il caso dell’avvocato tedesco che non ha potuto svolgere la professione forense nel nostro Paese, rifiutando la sua iscrizione all’albo professionale e subordinandola al superamento di una prova attitudinale, in violazione della direttiva n. 89/48/CEE

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, sentenza n. 10469 del 2018

I fatti di causa:

La Corte d’Appello di Roma aveva dichiarato inammissibile l’appello, proposto tardivamente ex art. 333 c.p.c. dell’avvocato Tizio.

Invece, aveva accolto parzialmente l’appello principale, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, riformando la decisione di prime cure che aveva accertato la responsabilità dello Stato Italiano per il danno arrecato a Tizio, di nazionalità tedesca, causato dall’avergli impedito di svolgere la sua professione nel nostro Paese, rifiutando la sua iscrizione all’albo professionale e subordinandola al superamento di una prova attitudinale, in violazione della direttiva n. 89/48/CEE.

Accogliendo il gravame la Corte d’Appello aveva ridotto l’ammontare del danno risarcibile al solo danno patrimoniale per mancato esercizio della professione dal 1994 al 1999, liquidato in complessivi C 75.000,00 in base al fatturato medio rilevato dal CTU nel periodo lavorativo 1999-2004, decurtato dei costi forfettariamente determinati, ed attualizzato al tempo della pronuncia.

La Corte territoriale non riconosceva, invece, il danno non patrimoniale (inteso come danno alla reputazione) per difetto del nesso causale, dovendo imputarsi allo stesso avvocato la violazione delle norme sul divieto di esercizio della professione, al tempo vigenti, che
aveva dato luogo a procedimenti penali e disciplinari. Accoglieva la domanda della Presidenza del Consiglio di condanna del danneggiato alla restituzione del maggior importo corrisposto, a titolo risarcitorio, in esecuzione della sentenza di primo grado, compensando per metà le spese del grado.

Proponeva ricorso in  cassazione avverso la predetta sentenza l’avvocato, mentre la Presidenza del Consiglio presentava ricorso incidentale.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 19384 del 30 settembre 2016 rigettava sia il ricorso principale che quello incidentale.
L’avvocato propone quindi ricorso in revocazione ai sensi dell’articolo 391 bis c.p.c, ritenendo la sentenza affetta da errore di fatto ai sensi dell’articolo 395 n. 4 c.p.c.

Resiste in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri con controricorso. Parte ricorrente deposita memoria ex art. 380 bis c.p.c. e
istanza ex art. 376 c.p.c. di rimessione della controversia alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

L’avvocato con il primo motivo lamenta:

“l’errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Suprema Corte nell’affermare che il ricorrente non aveva espletato gli specifici rimedi apprestati dall’ordinamento processuale per eliminare le norme statali contrarie all’ordinamento comunitario. Al contrario, lo stesso, nei
procedimenti amministrativi, disciplinari e penali nei quali si contestava la legittimità dell’attività professionale forense, aveva richiamato costantemente il rispetto delle norme comunitarie, presentando domande pregiudiziali ignorate o respinte, aveva anche richiesto alla Commissione Europea di aprire una procedura di infrazione ai sensi dell’articolo 169 TUE. Tale richiesta non era stata esaminata dalla Corte di Cassazione. Ha formulato una richiesta al Ministro della Giustizia di modifica della legge n. 31 del 9 febbraio 1982. Altra richiesta di rinvio alla Corte di Giustizia Europea era menzionata nel testo della sentenza del Consiglio Nazionale Forense del 17 dicembre 2009. Si tratta di atti contenuti nei fascicoli dell’attore, relativi ai diversi giudizi di merito affrontati dal ricorrente”

 

La decisione della Corte:

Secondo la Corte il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente avrebbe dovuto allegare non soltanto l’esistenza di tali atti ma anche che questi erano stati riprodotti indirettamente o comunque allegati ed individuati nel ricorso per Cassazione.

In base all’art. 366, n. 6 c.p.c. la parte è tenuto oltre a richiamare gli atti ed i documenti del giudizio di merito, anche a riprodurli nel ricorso e a indicare in quale sede processuale fossero stati prodotti.

La revocazione di una sentenza di Cassazione può essere richiesta solamente se sia dedotto che la decisione sia frutto di un errore di fatto, che dia luogo ad un indiscutibile contrasto tra quanto in essa rappresentato e le oggettive risultanze degli atti processuali.

La Corte sostiene che il motivo

“è, altresì, inammissibile perché l’azione proposta presuppone l’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale. Orbene, nel caso di specie, l’assunto del ricorrente coinvolge profili valutativi e presuppone che “l’omesso ricorso da parte del legale allo specifico rimedio prestato dall’ordinamento processuale per eliminare le predette norme statali dall’ordinamento interno” si riferisca alla presentazione di domande pregiudiziali “ottusamente ignorate o respinte” dagli organi giurisdizionali o amministrativi, alla richiesta di aprire una procedura di infrazione, alla richiesta rivolta al Ministro della Giustizia di modifica della legge – 31 dei 9 febbraio 1982 e di rinvio alla Corte di Giustizia europea. Profilo questo che non è dimostrato e neppure allegato dal ricorrente;”

“Infine, la circostanza che un certo fatto e (le istanze sopra descritte) non sia stato considerato dal giudice, non implica necessariamente che quel fatto sia stato espressamente negato nella sua materiale esistenza (potendo, invece, esserne stata implicitamente negata la rilevanza giuridica ai fini del giudizio), perché, altrimenti, si ricondurrebbe all’ambito del giudizio per revocazione, piuttosto che nell’ordinario giudizio di impugnazione, ogni fatto che non sia stato espressamente considerato nella motivazione giudiziale (Sez. 1, Sentenza n. 3200 del 07/02/2017, Rv. 643866 – 01);”

Quindi, nel caso di specie, si deve risarcire il danno patrimoniale ma non quello non patrimoniale.

La responsabilità del nostro Paese per l’omessa tempestiva attuazione della direttiva comunitaria determina la risarcibilità solamente dei danni patrimoniali, riguardanti il mancato esercizio della professione.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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