Oscuramento dei dati identificativi

La Sesta Sezione della Corte di Cassazione interviene sul tema dell’oscuramento dei dati sensibili contenuti in atti giudiziari.

L’oscuramento dei dati personali ed il cosiddetto diritto all’oblio sono temi di stretta attualità, soprattutto in una società profondamente condizionata dal web.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11959/2017, è stata chiamata in causa in una vicenda giudiziaria che ha riguardato alcuni magistrati. Il procedimento di merito era terminato con un’archiviazione disposta dal G.I.P.

Il ricorso presentato alla Suprema Corte è stato rigettato, ritenendo il provvedimento di archiviazione non meritevole di censure di sorta.


La richiesta di oscuramento dei dati personali avanzata da una parte del processo.

Il ricorrente richiama, a sostegno della propria domanda, l’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. La norma disciplina la possibilità di inserire un’annotazione volta a:

“[…] precludere, in caso di riproduzione della sentenza o del provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento […]”.

La norma pone così un evidente elemento di distinzione tra le istanze accoglibili e quelle non meritevoli di tutela. Il fulcro della disposizione risiede, infatti, sulla legittimità dei motivi posti a sostegno della richiesta.


I motivi legittimi.

Come si può ben comprendere l’espressione “motivi legittimi” ha destato qualche perplessità agli interpreti.

La Corte, in ogni caso, esclude che si possa intendere quali “motivi normativi”. Una simile locuzione si porrebbe in sovrapposizione all’incipit della norma in oggetto. Se volessimo accogliere questa soluzione arriveremmo alla paradossale conclusione di superfluità dell’articolo 52.

Secondo i Giudici, la corretta interpretazione dell’espressione “motivi legittimi” dovrebbe, invece, apprezzarla come sinonimo di “motivi opportuni. Questi motivi non potranno che essere il risultato di un equilibrato bilanciamento tra:

  • esigenze di riservatezza del singolo;
  • pubblicità della sentenza.
  • Le linee guida del Garante della privacy.

Per qualificare più esattamente l’espressione motivi legittimi, ci viene in soccorso il Garante della privacy. Le linee guida che ha pubblicato il 2 dicembre 2010 pongono una sorta di duplice tipologia dei “motivi legittimi”, a seconda che il mancato anonimato vado ad incidere su:

  • la particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento (ad esempio: i dati sensibili);
  • la delicatezza della vicenda oggetto del giudizio.

Nulla questio in merito al concetto di dati sensibili, che vengono direttamente indicati dalla normativa speciale.

Quanto, invece alla delicatezza, pare d’uopo richiamare le parole utilizzate dagli Ermellini per la sua definizione:

“[…] l’estrema latitudine del sostantivo abbia necessità di essere riempita di contenuti concreti, sintomatici della peculiarità del caso e della capacità, insita nella diffusione dei relativi dati, di riverbare […] negative conseguenze su vari aspetti di vita sociale e di relazione dell’interessato […], così andando ad incidere pesantemente sul diritto alla riservatezza del singolo […]”.


Le conclusioni della Corte.

Al di là di quelle che sono state le decisioni assunte sul caso concreto, quanto sin qui esposto mette in evidenza alcuni aspetti cruciali che devono essere affrontati dall’operatore del diritto che si accinge ad affrontare una richiesta di oscuramento dei dati personali.

In difetto di una seria riflessione sui presupposti dell’azione, si rischia seriamente di non veder accolta l’istanza presentata all’Autorità.

Se non si sottolineano i presupposti utili all’accoglimento della propria richiesta di oscuramento, si potrebbe giungere alla considerazione apportata dalla Corte a chiosa della sentenza in commento:

“[…] diversamente opinando, del resto, ogni processo penale dovrebbe comportare l’oscuramento dei dati personali […]”.

Avv. Jacopo Marchini