LICENZIAMENTO DISCIPLINARE PER IL DIRIGENTE CHE URLA

Sì al licenziamento per giusta causa del dirigente che urla

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 12102/2018

I fatti di causa:

Tizio, medico dipendente della Alfa s.r.l., inquadrato come dirigente, aveva impugnato il licenziamento disciplinare, irrogatogli per giusta causa.

Egli, in presenza di alcuni dipendenti e utenti della casa di cura, presenti negli uffici per il disbrigo di diverse pratiche amministrative, aveva gridato nel corridoio degli ufficio e aveva spalancato la porta della Direzione, aggredendo verbalmente il titolare che era impegnato in un colloquio con altre persone, urlando:

“ma tu non ha un c…o da fare…cresci una buona volta”.

Il ricorrente deduceva il difetto di giusta causa e comunque di proporzionalità della sanzione rispetto ai fatti, non riconducibili ad alcune delle ipotesi per le quali il CCNL consentiva l’adozione della massima sanzione.

Non solo, ma evidenziava anche la natura ritorsiva dell’atto espulsivo intimatogli dalla Direzione allo scopo di liberarsi di un lavoratore scomodo.

Il Tribunale aveva rigettato l’impugnativa di licenziamento. Contro tale ordinanza, il medico aveva proposto opposizione.

V. anche

La Corte d’Appello di Napoli, aveva accolto il reclamo ed annullato il licenziamento, con conseguente reintegra del dipendente nel posto di lavoro, oltre che al pagamento di un’indennità dal giorno del licenziamento a quello della reintegra.

Avvero tale decisione la società Alfa propone ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte:

Il lavoratore chiese in via principale l’accertamento della natura discriminatoria, ritorsiva e comunque illecita del licenziamento, con la condanna della società alla reintegra nel posto di lavoro oltre che al risarcimento del danno da liquidarsi in via equitativa; in subordine che fosse dichiarata la nullità del licenziamento per insussistenza del fatto, con reintegra nel posto di lavoro e con le conseguenti statuizioni economiche commisurate all’ultima retribuzione dal giorno del licenziamento a quello della reintegra; in via più gradata, dichiararsi nullo il recesso per difetto di proporzionalità della sanzione (trattandosi di fatto punibile con misura conservativa) con reintegra nel posto di lavoro e con le conseguenti statuizioni economiche commisurate all’ultima retribuzione dal giorno del licenziamento a quello della reintegra, ovvero con il pagamento della indennità risarcitoria nella misura massima prevista dalla L. 92/2012.

 

C’è da dire che il c.c.n.l. non contiene una tipizzazione degli illeciti, rimettendo all’art. 11 la sanzione alla valutazione della loro gravità, disponendo il licenziamento quando l’infrazione rivesta carattere di particolare gravità, nonché che nel caso di specie, è indubbio che il comportamento del sanitario rivestisse particolare gravità.

V. anche

http://www.studiolegalebusetto.it/licenziamento-del-jobs-act/

Per gli Ermellini:

“la corte partenopea, movendo erroneamente da una sentenza di questa Corte (n. 20545\15, ove tuttavia il licenziamento senza preavviso era previsto dal c.c.n.l. solo per il lavoratore che provochi all’impresa grave nocumento morale o materiale, nella specie non accertato, per cui la sentenza venne cassata con rinvio) ha erroneamente ritenuto necessaria, ai fini della sussistenza dell’illecito disciplinare, l’esistenza di tale nocumento morale o materiale.
In realtà l’orientamento di questa Corte in materia di interpretazione del comma 4 dell’art. 18 novellato è nel senso che l’insussistenza del fatto contestato comprende l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità (o antigiuridicità), sicché in tale ipotesi si applica la tutela reintegratoria, senza che rilevi la diversa questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceità (Cass. n.13799\17, Cass. n. 18418\16, Cass. n.20540\15).
Nella specie il fatto contestato […] risulta accertato e non può certamente ritenersi (oltre che insussistente) privo del carattere di antigiuridicità.

Né risulta che tale condotta sia stigmatizzata dal c.c.n.l. con una sanzione meramente conservativa, posto che, come incontestatamente espone la sentenza impugnata, il c.c.n.l. non contiene una tipizzazione degli illeciti, rimettendo l’art. 11 del c.c.n.l. la sanzione alla valutazione della loro gravità, e prevedendo il licenziamento qualora l’infrazione rivesta ‘carattere di particolare gravità’. Il comportamento sanzionato risulta indubbiamente esistente e per di più avvenuto in presenza del personale dell’azienda e degli utenti di essa, nei confronti del dirigente e del personale dell’azienda, e dunque, teoricamente, di particolare gravità.”

La Corte quindi ritiene che.

“Si può dunque discettare della proporzionalità (richiamata esplicitamente dal detto art. 11), che per giurisprudenza costante di questa Corte è fuori dall’eccezione di cui al comma 4 dell’art. 18 novellato, ma non ritenere insussistente il fatto, nel senso chiarito da questa Corte”.

Ed infatti:

“La sentenza impugnata si sofferma sulla proporzionalità, non rilevante ex art. 18, comma 4 novellato (Cass. n.20540\15, Cass. n. 23669\14), ma non di insussistenza del fatto, né risulta una norma collettiva che sanzioni tale fatto con sola sanzione conservativa, prevedendo semmai l’art. 11 lett.g) del c.c.n.I., invocato dalla società, il licenziamento per il caso di comportamento scorretto o offensivo nei confronti dei degenti, pubblico o altri dipendenti, connotato da gravità.”

 

Per tale motivo, secondo gli Ermellini, il ricorso della società Alfa deve essere accolto, con rinvio ad altro giudice, affinché applicando il suddetto principio accerti la legittimità o meno del licenziamento in questione.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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