… E SE IL CANE IMBRATTA I PANNI DEL VICINO

Quali sono le conseguenze se il mio cane imbratta i panni del vicino?

Si tratta di danneggiamento, imbrattamento, risarcimento del danno?

Il cane non solo abbaia, puzza o rompe gli oggetti più disparati, ma spesso e volentieri sporca.

Alcune volte i cani sporcano con i loro escrementi: fiori, auto, oggetti vari e addirittura i panni appena lavati e stesi in giardino. In tal caso come ci si deve comportare?

Vediamo come ha disposto la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13970 del 26 marzo 2018, adita da un cittadino che aveva denunciato il vicino di casa per depauperamento e danneggiamento a causa del suo amato amico a quattro zampe.

Il reato di danneggiamento oggi è stato depenalizzato, e pertanto, chi lascia che il proprio cane sia libero di sporcare i fiori o i panni del vicino non subirà alcuna condanna penale. Al massimo sarà citato in una causa civile per il risarcimento danni.

V. anche

Secondo gli Ermellini non vi è un vero e proprio imbrattamento, dal momento che gli escrementi dell’animale possono essere facilmente rimossi e non provocano alcun danno permanente.

Nel caso in esame, una donna aveva addestrato il proprio cane ad espletare le proprie funzioni corporali all’interno della proprietà del suo vicino di casa, il quale non ci ha pensato due volte ed è andato dai carabinieri a sporgere denuncia. Alla donna viene contestato di

“non aver impedito che le deiezioni del proprio cane sporcassero la biancheria stesa ad asciugare nel sottostante balcone”.

Il proprietario di animali è il suo custode e quindi risponde di tutti i danni da questi provocati. Ciò vale sia dal punto di vista civile che penale.

V. anche

In primo luogo il Giudice di Pace aveva pronunciato l’assoluzione della donna, visto che era intercorsa la depenalizzazione del imbrattamento e depauperamento di cose altrui. Della medesima opinione sono anche gli Ermellini, i quali sottolineano che il depauperamento è rimasto un illecito penale solamente se la condotta viene posta in essere contro beni posti alla pubblica fede; mentre l’imbrattamento viene punito solamente se vi è dolo o malafede.

Nello specifico i giudici di Cassazione hanno stabilito che:

“Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. Questa Corte ha precisato che, poiché l’”abolitio criminis” espunge dall’ordinamento la norma incriminatrice penale, ogni giudice che sia formalmente investito della cognizione sulla fattispecie oggetto di abrogazione ha il compito di dichiarare, ex art. 129, comma primo, cod. proc. pen., che il fatto non è previsto dalla legge come reato, in ossequio al precetto di cui all’art. 2, comma secondo, cod. pen., per il quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. Infatti, una volta venuto meno l’oggetto sostanziale del rapporto processuale penale tale declaratoria è necessariamente pregiudiziale rispetto ad ogni altro accertamento che implichi, invece, la formale permanenza di una “res judicanda” (Sez. 6, n. 356 del 15/12/1999, El Quaret, Rv. 215285). Sulla scorta del medesimo principio si è affermato che la mancanza di una condizione di procedibilità osta a qualsiasi altra indagine in fatto, imponendo al giudice di dichiarare immediatamente e preliminarmente l’improcedibilità (Sez. 2, n. 45160 del 22/10/2015 , Gioia, Rv. 265098) e che I ‘obbligo sancito dall’art. 129 cod. proc. pen., impedisce la proponibilità di una questione di legittimità costituzionale, pur se questa è finalizzata a conseguire un più vantaggioso epilogo assolutorio (Sez. 1, n. 19915 del 17/12/2013 , P.C. in proc. Gabetti e altro, Rv. 260688), ovvero l’approfondimento del “thema decidendum” e la modifica della qualificazione giuridica del fatto”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


VUOI RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER