Diffamazione sui social networks

Configurazione reato di diffamazione tramite Facebook

La Corte di Cassazione sezione V penale con la sentenza del 7 ottobre 2016 – 20 gennaio 2017, n. 2723 ha stabilito che offendere tramite Facebook può costituire una diffamazione aggravata

Chiunque divulghi offese tramite i social networks ed in particolare attraverso Facebook, può essere passibile di una condanna per diffamazione aggravata, come stabilito dalla sentenza n. 2723/2017 della Corte di Cassazione sezione V penale, in quanto tale social network può raggiungere un numero molto elevato di utenti e, per tale motivo, è potenzialmente idoneo alla configurazione della fattispecie di reato.

Ai sensi dell’art. 595 c.p.

  1. “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
  2. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.
  3. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa, o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecento sedici euro.
  4. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”

Si evince quindi che il reato di diffamazione si può ben realizzare anche attraverso il  web, potendosi anche ravvisare l’aggravante di cui all’art. 595, III co, c.p., visto che in tale fattispecie il messaggio diffamante è destinato a raggiungere un numero elevato di persone.

Fattispecie in esame:

L’imputata aveva mandato alcuni messaggi con cui si riferiva alla vittima appellandola “cornuta”. Inizialmente il Tribunale di primo grado l’aveva condannata alla pena di giustizia per il reato di diffamazione, successivamente la Corte di Appello di Trieste, riformando la decisione, riqualifica il fatto ai sensi del terzo comma dell’articolo 595 del codice penale, riconoscendo le attenuanti generiche, e rideterminando la pena in Euro 350 di multa e confermando la condanna al risarcimento dei danni.

 

Dott.ssa Benedetta Cacace