IL COMMERCIALISTA, CHE HA IDEATO LA FRODE, CONCORRE PER I REATI TRIBUTARI

Per i reati tributari risponde anche il consulente che ha ideato la frode

Sentenza della Cassazione, Sez. III penale, del 18 gennaio 2018 n. 1999

Nel caso di specie, il tribunale del riesame aveva disposto il sequestro per equivalenza dei beni mobili ed immobili nella disponibilità dell’imputato per la concorrenza di una somma pari all’ammontare dei crediti tributari inesistenti oggetto di indebita compensazione.

All’indagato si contestava di aver, in qualità di consulente fiscale di una società, ideato e commercializzato “modelli di evasione fiscale” attraverso i quali sarebbero stati commessi diversi reati di compensazione di crediti tributari inesistenti.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno dichiarato il ricorso infondato, analizzando in primis la tesi della buona fede esposta dal ricorrente, e sottolineando che questo aveva dato un apporto essenziale al meccanismo, dato che aveva apposto il visto di conformità obbligatorio per la certificazione dei redditi inseriti nelle relative dichiarazioni, successivamente da lui trasmesse quale intermediario.

Dobbiamo fare richiamo all’art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997, che recita:

“I contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.[…]”

L’art. 10 quater riferendosi a chi “non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione” crediti inesistenti si riferisce ai soggetti legittimati, ex art. 17 e ss. d.lgs. n. 241 del 1997, ad effettuare pagamenti di imposta utilizzando in compensazione crediti verso l’erario, ed in tale categoria devono farsi necessariamente rientrare anche coloro che, in virtù del contratto di accollo, agiscono come debitori proprio in virtù del fatto che, con l’accollo, si sono volontariamente fatti carico di debiti altrui.

Tale operazione appena descritta è illecita, e in sostanza prevede che il debito del contribuente venga pagato da una terza società, che lo onora non pagando direttamente bensì mediante compensazione con un proprio credito, credito che l’accollante ha acquistato da soggetti che non potevano monetizzarlo.

Si deve affermare il seguente principio di diritto:

“Integra il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta a seguito del c.d. accollo fiscale ove commesso attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale, in quanto l’art. 17 del d.lgs. n. 241/97 non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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